Estetica

Attraverso il montaggio: un percorso su Walter Benjamin

"Articolare storicamente il passato non significa riconoscerlo come è stato veramente. Significa impadronirsi del ricordo che lampeggia nell'attimo del pericolo." W. Benjamin

    Attraverso il montaggio: un percorso su Walter Benjamin

    Il presente contributo indaga la particolare inclinazione di Walter Benjamin al montaggio come attraversamento carsico nella sua continuata produzione; è possibile infatti percorrere l'opera del saggista berlinese a partire da questo singolare punto prospettico individuando tre diverse regioni argomentative: il montaggio come tecnica, il montaggio come metodo la cui proposta si riconosce operativa nel montaggio come teoria della storia.

     

    Il montaggio come tecnica

    Nella ricostruzione di un pensiero del montaggio resta utile fissare come punto di partenza il saggio sulla riproducibilità tecnica1 per decifrare in modo adeguato una sua configurazione a partire dalla perfettibilità dell'opera2: se attraverso il lavoro di montaggio i film raggruppano riproduzioni di processi che hanno luogo davanti alla cinepresa che registra una prestazione, sarà il montatore a disporle nel tempo assicurando all'opera quell'unità di relazioni come si addice alla sua riproduzione. Se volessimo isolare quelle parti del testo che, tra le diverse redazioni del saggio, circoscrivono il ricorso al montaggio guadagneremmo una perspicua indicazione metodologica a riguardo:

    da un punto di vista ontogenetico, la natura di secondo grado emerge già nel gioco, in particolar modo nel gioco infantile, tanto che si potrebbe definire il principio del montaggio, prima ancora che un principio tecnico praticamente realizzato per la prima volta nel cinema, un vero e proprio tratto antropologico (Montanelli, 2016: p. 46)

    E un'operazione di montaggio emerge verosimilmente anche dalla disposizione dei singoli paragrafi che insieme costituiscono questo testo da leggere e rileggere più volte - come si ascolta un disco3 - al fine di individuarne le relazioni interne, i riferimenti nucleari all'opera d'arte e alle masse al netto delle variazioni tematiche: anche nella struttura stessa del saggio è disposto dunque un pensiero del montaggio attraverso la giustapposizione di tessere concettuali la cui unità conferisce al testo la sua carica ermeneutica. Eppure i punti di contatto tra tecnica e montaggio non si limitano a questo testo se facciamo riferimento a un altro testo benjaminiano, Strada a senso unico4, che presenta nella stessa copertina un fotomontaggio5 dato dalla giustapposizione del segnale stradale indicato al singolare nel titolo eppure concordato al plurale delle immagini quale simbolo di una possibile riscrittura come occorre in post-produzione quale negazione della sovrapposizione temporale tra momento iniziale e risultato finale. Già in questo singolare testo, che si presenta tecnicamente esso stesso come un montaggio letterario di più testi dalle diverse assonanze, è possibile farsi un'idea del ricorso benjamiano al montaggio quale tecnica testuale, in grado di suggerire percorsi altri che non la sola lettura ordinata dai numeri delle pagine: il lettore potrà costruire un suo personale percorso di attraversamento a partire da una ridisposizione dell'indice. Il solco del disco nel quale rintracciare questa andamento del montaggio risulta evidente dal discorso tenuto da Benjamin presso l'Istituto per lo studio del fascismo di Parigi il 27 aprile 1934, L'autore come produttore: in questo testo - che anticipa la conclusione di questo paragrafo servendo quale approdo temporaneo di questa riflessione sul montaggio come tecnica - Benjamin ne sottolinea la specificità sostenendo che «nel procedimento del montaggio il pezzo montato interrompe il contesto in cui viene montato»6.

     

    Il montaggio come metodo

    A partire da questa ultima indicazione è possibile dare qualche ulteriore riferimento sulla metodologia benjaminiana come espressione di una logica del montaggio7. Proprio dopo aver infatti concepito la struttura di Strada a senso unico sul modello dei fotomontaggi dadaisti, Benjamin adotta il principio del montaggio letterario come metodo la cui gestazione avrebbe trovato riparo nei Passages8. Si tratta dunque di una sostanziale forma di revisione degli assetti logico-operativi dello studioso, impegnato a ricostruire la scena del concetto alla stregua di un detective che fissa in verticale tutti gli indizi e le prove del crimine per elaborare poi una personale strategia nel collegare elementi che, sebbene disparati, sono mossi da una forza comune. La complessità dei casi trattati da Walter Benjamin non inficia il punto di partenza nel materialismo storico come sensibilità adeguata a fare i conti col suo presente e atteggiamento in grado di risolvere lo scollamento tra pensiero e realtà sociale: impiegare diversi strumenti bibliografici anticipa una certa relazione con le fonti come decisiva nel Novecento, ancor più necessaria nel XXI secolo, giacché ogni traccia seppure visibile lascia nascosti i motivi della sua impronta. Lo studio di Benjamin riflette questa condizione a partire dal montaggio di questi stracci9, anticipando formule attive più nell'arte che nella storia del pensiero sotto forma di reimpiego10. Facendo riferimento allo stesso metodo compositivo portato in avanti dallo stesso Benjamin, nella personale camera oscura allestita presso la Biblioteca Nazionale Parigina, custode dei suoi sforzi anche dopo la sua scomparsa, era vieppiù impegnato nel copiare citazioni da una sempre maggiore varietà di fonti del XVIII e XIX secolo integrate in seguito da brevi commenti e riflessioni. Questa formula, superata nel tempo la cogenza del testo letterario, sarebbe diventata in maniera autentica un autorevole modello di composizione culturale: la manipolazione delle immagini come quotidianamente proposta da meme e forme di contaminazione verbo-visiva come diffuse in rete autorizzano una origine metodologica nella traduzione della fonte in risultato presente11. Sebbene lontani dall'acribia dello studioso benjaminiano, è opportuno riconoscere una certa parentela metodologica in grado da mostrarne le fertili indicazioni; per restare costretti nella tecnica benjaminiana scrupolosamente elaborata nel ricorso al montaggio come momento metodologico, resta opportuno segnalare come la stessa possa dirsi compiuta col fare i conti con la storia quale castrum da assaltare.

     

    Il montaggio come teoria della storia

    Sparse nelle diverse serie in cui Benjamin stesso aveva organizzato accuratamente i frammenti, e in particolare in quella sezione N intitolata Elementi di Teoria della conoscenza, teoria del progresso12 è possibile rintracciare tutta una serie di tesi circa il ruolo che il montaggio avrebbe dovuto avere nel costruire quella storia originaria del XIX secolo che era l'oggetto del libro sui Passages13. Proprio la forma in cui è pervenuto il Passagenwerk è il risultato di un paziente lavoro di raccolta e di archiviazione di citazioni tratte da una grande varietà di fonti e di brevi testi che Benjamin portò avanti negli anni adottando un meticoloso sistema di classificazione: l'autore afferma in più punti che il procedimento costruttivo che stava seguendo nell'elaborazione della sua opera era il procedimento del montaggio secondo una logica piuttosto rappresentativa e ostensiva che non discorsiva e argomentativa, la cui risposta sembra suggerita dalla forte parentela con la singolare metodologia filosofica di Ludwig Wittgenstein14.

    Il saggio sulla Parigi di Baudelaire si compone dunque di una serie di immagini o di motivi storici strappati al loro contesto originale - il quale è spesso ai margini della storia conosciuta, intrappolato nell'aneddoto e nella storia segreta - e attentamente rielaborati in un testo basato proprio sui principi del montaggio. Tale metodo compositivo nasce dalla convinzione che queste immagini, spesso espressione di dettagli apparentemente incongruenti di grandi strutture storiche, siano state ignorate dalle classi dominanti che attribuiscono valore di verità solo alla propria versione della storia ispirata dall'ideologia. Ecco perché, per svelare l'autentico tempo storico, il tempo della verità, Benjamin propone di estrarre, citare quanto d'inapparente vi era rimasto sepolto sotto solo perché era assai poco d'aiuto ai potenti. Assume rilevanza la categoria dell'essere citabile, intravista quale condizione necessaria della tradizione vivente: compito dello storico materialista diventa l'appropriazione del ricordo nell'adesso della sua conoscibilità, come balenerà in seguito nelle densissime tesi sul concetto di storia15 come occorre nella quinta dove è scritto: «La vera immagine del passato sguscia via. Il passato si mantiene fisso solo come immagine, che balena per perdersi per sempre nell'attimo della propria conoscibilità»16. Ed è proprio nella sesta tesi che si completa questa indicazione metodologica sul ricorso al montaggio come teoria della storia laddove si legge che

    articolare storicamente il passato non significa riconoscerlo come è stato veramente. Significa impadronirsi del ricordo che lampeggia nell'attimo del pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare un'immagine del passato come all'improvviso si presenta al soggetto storico nel momento del pericolo. (Benjamin, 1997: p. 24)

    In questo testamento storico, anch'esso presente quale forma di stringato montaggio letterario di testi dalla frammentarietà presocratica, è forte la filiazione con il precedente operativo del Passagenwerk da ricondurre al montaggio come metodologia da un lato, teoria della storia dall’altro.

    Conclusione

    Pochi autori come Walter Benjamin hanno intravisto la progressiva erosione delle abitudini culturali in seno al moderno come portato di una braudeliana ridefinizione della percezione17, forse depotenziata eppure ancora medium dell’esperienza sensibile. Il lettore incuriosito potrà trovare riparo in alcuni testi quali Esperienza e povertà18 o Piccola Storia della fotografia19 fino ad arrivare al saggio che più di altri celebra l’immortalità del pensatore tedesco - al punto forse da dimenticarne il portato dinamitico che fonda la funzione dell’arte sulla politica come contrappunto dialettico all’estetizzazione della politica stessa – L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, la cui edizione a stampa del 1936 non può essere considerata l’originale20. Per l’occasione di questo contributo è occorso fare riferimento massivo ad altro testo, colossale a partire già dal piano dell’opera, vero e proprio work in progress rimasto tale la cui metodologia collima in qualche modo con il tema del montaggio, laddove il materiale oggetto dell’attenzione del montatore Walter Benjamin può essere rintracciato proprio negli elementi più nascosti, estratti con precisione quasi chirurgica da un esistente corpus di informazioni bibliografiche. Il saggio su Charles Baudelaire21 prima e gli stessi Passages in seguito dispongono infatti quella serie di immagini e motivi storici strappati al loro contesto originale reimpiegati da Benjamin per rifuggire la storiografia dei vincitori. In questo senso è valso esclusivamente il ricorso al montaggio di citazioni dichiarato più volte dallo stesso Benjamin nella cartella N – teoria della conoscenza – come forma di reimpiego testuale cultorologico.

     

    Bibliografia

    A. Pinotti – A. Somaini, Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Torino 2016.

    W. Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura di G. Agamben, Vicenza 2002.

    W. Benjamin, Einbahnstraße (1928), trad. it. di G. Schiavoni, Strada a senso unico, Torino 2006.

    W. Benjamin, I «Passages» di Parigi, a cura di R. Tiedemann ed E. Ganni, Torino 2000.

    W.Benjamin, L’ouvre d’art à l’epoque de sa reproduction mécanisée (1936) , trad. it. di Massimo Baldi, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Roma 2012.

    W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, Milano 2015.

     

    W. Benjamin, Sul concetto di storia, trad. it. di G. Bonola e M. Ranchetti, Torino 1997.

    M. Montanelli, Repetita: rito versus gioco in Tecniche di esposizione. Walter Benjamin e la riproduzione dell’opera d’arte, a cura di M. Montanelli e M. Palma, Macerata 2016, pp. 37-58.



    1 «Per quanto mi riguarda, cerco di orientare il mio telescopio in modo che, penetrando la nebbia di sangue, punti su una fata morgana del XIX secolo, in cui cerco di rispecchiarmi secondo i tratti che esso mostrerà di una condizione futura del mondo liberata dalla magia. Naturalmente devo costruirmi innanzitutto questo telescopio da solo e in questo sforzo, adesso, io ho ritrovato per primo alcuni principi fondamentali della teoria materialistica dell'arte. Mi sto impegnando attualmente a esporla in un breve scritto programmatico.» Questo scritto sarà L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Il corpo della lettera a Kraft del 28 ottobre 1935 è in W. Benjamin, I «Passages» di Parigi, Torino 2000, p. 1124.

    2 «Una volta per tutte – questa è stata la parola d'ordine della prima tecnica. Una volta non conta – questa è la parola d'ordine della seconda tecnica. L'origine della seconda tecnica deve essere ricercata nel momento in cui l'uomo, guidato da un'astuzia inconscia si apprestò per la prima volta a prendere le distanze dalla natura. In altri termini: la seconda tecnica nacque come gioco». W.Benjamin, L’ouvre d’art à l’epoque de sa reproduction mécanisée (1936) , trad. it. di Massimo Baldi, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Roma 2012, p. 14.

    3 Si leggano a tal proposito le considerazioni sul formato jazzistico del saggio sulla riproducibilità tecnica nel testo I Modern Times di Benjamin di F. Desideri in W.Benjamin, L’ouvre d’art à l’epoque de sa reproduction mécanisée (1936) , trad. it. di Massimo Baldi, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Roma 2012, pp. VII-XII.

    4 Si faccia riferimento al testo W. Benjamin, Einbahnstraße (1928), trad. it. di Giulio Schiavoni, Strada a senso unico, Torino 2006.

    5 Si tratta di una manipolazione fotografica a cura di Sasha Stone, artista russa.

    6 Il testo completo della conferenza L’autore come produttore è disponibile in W. Benjamin, Aura e choc, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Torino 2012, pp. 147-162.

    7 Questa metodologia operativa fortemente visiva non resta confinata alla sola pratica benjaminiana: anche il procedimento di montaggio adottato da Bloch e Kracauer prende forma testuale, sebbene ispirato direttamente alle tecniche del fotomontaggio e del montaggio cinematografico.

    8 Un lavoro sugli intervalli e sulle distanze che ripropone in chiave storiografica il nesso dialettico vicinanza-lontananza attraverso giustapposizione di frammenti rintracciati a mezzo scavo archeologico nei testi della bibliothèque Nationale di Parigi.

    9 «Metodo di questo lavoro: montaggio letterario. Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di alcuna espressione ingegnosa. Stracci e rifiuti, invece, ma non per farne l'inventario, bensì per rendere loro giustizia nell'unico modo possibile: usandoli. [N 1a, 8]» cfr. W. BENJAMIN, I Passages di Parigi, p. 512.

    10 Si veda a riguardo il saggio di A. Mastrogiacomo, Fare i conti con la storia: il caso del reimpiego, in «Rivista di diritto delle arti e dello spettacolo», fasc. 4, dicembre 2018, pp. 59-74.

    11 Sul tema della manipolazione delle immagini si vedano il capitolo V. Alta e Bassa definizione in A. Pinotti – A. Somaini, Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Torino 2016, pp. 137-220.

    12 Si rimanda alla selezione di frammenti che chiude la sezione VIII Immagine, montaggio, storia in W. Benjamin, Aura e choc, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Torino 2012, pp. 409-421.

    13 N Ia, 8 «Metodo di questo lavoro: il montaggio letterario»; N 1, 10 «La teoria del Passagenwerk è intimamente connessa a quella del montaggio»; N 2, 6 «Adottare nella storia il principio del montaggio». Si veda la cartella N in W. Benjamin, I «Passages» di Parigi, pp. 476-510.

    14 Si rimanda al saggio di L. V. Distaso, Non pensare. Guarda!, disponibile al link http://www.kainos.it/Pages/articolo%20rice12.html

    15 Si rimanda al testo W. Benjamin, Sul concetto di storia, trad. it. di G.Bonola e M. Ranchetti, Torino 1997.

    16 W. Benjamin, Sul concetto di storia, p. 23

    17 Resta opportuno indicare come medium la stessa percezione, secondo il portato benjaminiano proposto nel saggio sulla riproducibilità tecnica mentre nella vulgata viene solitamente inteso come medium il dispositivo, quasi ad estendere questa riflessione: «la modalità in cui si organizza la percezione umana – il medium in cui essa si realizza – non è condizionata solo in senso naturale, ma anche in senso storico». W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (2012), p. 51.

    18 Si rimanda alla versione di Esperienza e povertà contenuta nel testo W. Benjamin, Aura e choc, a cura di A. Pinotti e A. Somaini Torino 2012, pp. 364 – 369.

    19 W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, Milano 2015.

    20 Per il dibattito sulle diverse versioni del saggio si rimanda al saggio I Modern Times di Benjamin di F. Desideri in W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., pp. VII – XLV e al testo a cura di M. Montanelli e M. Palma, Tecniche di esposizione. Walter Benjamin e la riproduzione dell’opera d’arte, Macerata 2012.

    21 W. Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, a cura di G. Agamben, Vicenza 2002.