Concorso per saggi brevi - L'uomo digitale

L’uomo digitale

Il saggio di Luis Morniroli - Concorso per saggi brevi - L'uomo digitale

    La conseguenza più evidente della digitalizzazione è l’enorme aumento della quantità di informazione a livello globale. Ciò è dovuto principalmente al fatto che grazie alla digitalizzazione, l’archiviazione delle informazioni è diventata ancor più economica e quindi ancor più accessibile. Già solo questo incremento di quantità di informazioni a disposizione di un individuo contribuisce ad estendere le capacità umane. Infatti questo incremento estende la capacità di comprensione del mondo, dato che si hanno più informazioni per comprenderlo. Ma questa è solo una delle capacità umane che vengono estese. La digitalizzazione, soprattutto se unita a Internet, estende la capacità più importante, ovvero quella di poter interagire con molte più persone, se non tutte quelle della Terra. Da questa capacità ne derivano molte, molte altre: perciò sono molte, ma molte, le capacità umane che la digitalizzazione estende.

    Il motivo per cui la prima capacità che ho menzionato, quella di comprendere il mondo, è estesa dalla digitalizzazione, trovo che sia particolarmente interessante e affascinante. Prima che esistessero le macchine di computazione, o computer, per rispondere ad un “perché?” di un fenomeno osservato si procedeva essenzialmente in questo modo: si ipotizzava una possibile spiegazione, poi si verificava se l’ipotesi fosse corretta (tramite un esperimento, un calcolo o altro) e infine si traeva una conclusione, ovvero una nuova conoscenza. Con l’invenzione dei computer analogici le cose cambiarono un po’: si faceva ancora un’ipotesi, ma poi, se possibile, la si faceva verificare dal computer che eseguiva le dovute operazioni di computazione al posto dell’uomo, risparmiando così tempo; infine si traeva una conclusione. Quindi con i computer analogici il processo divenne più produttivo, più fruttuoso; tuttavia, e cosa importante, i dati processati dal computer venivano ancora forniti dall’uomo. Arrivarono poi i computer digitali, e le cose cambiarono radicalmente. I computer digitali erano, e sono tuttora (per via di vari sviluppi della tecnologia come per esempio i chip in silicone, le unità di memoria più sofisticate, ecc…), più economici e piccoli rispetto ai computer analogici e quindi anche più versatili. Di conseguenza vennero implementati in tantissimi nuovi ambienti di svariati ambiti come per esempio l’industria, l’agricoltura (e non più solo nei laboratori di ricerca o simili, come era spesso il caso per i computer analogici), dove si rivelarono molto utili. I tantissimi nuovi ambienti in cui videro adozione non erano infatti più statici, non erano più i semplici laboratori in cui l’unico evidente movimento era magari quello del tecnico incaricato come per i computer analogici; no, i tantissimi nuovi ambienti erano “dinamici”. Nella fabbrica c’erano le macchine in movimento, nell’agricoltura le precipitazioni, potrei andare avanti così all’infinito. Perciò di dati da processare dal computer invece che da un incaricato ce n’erano in abbondanza.

    La grande svolta consiste quindi nel fatto che ora non erano più solo gli uomini a fornire le informazioni da processare dal computer, come per i computer analogici: ora i computer stessi generano le informazioni da processare, dato che l’input è fornito anche dall’ambiente a cui sono connessi.

    Questo cambiamento è rivoluzionario. Grazie a questo sviluppo, molto di quello che è quantificabile, viene quantificato. I motivi per cui molto viene quantificato sono moltissimi (per esempio nel caso di un’industria per rimpiazzare un incaricato umano), ma non è quello che conta, quello che importa è che questa enorme quantificazione di ciò che è quantificabile implica un enorme produzione di informazioni, e queste informazioni valgono molto. Come si suol dire “sapere è potere” (“scientia potentia est”) e perciò molta gente è disposta a pagare per ottenere queste informazioni prodotte da tutti i computer digitali in giro per il mondo. Per questo motivo esistono i cosiddetti “data brokers”, che sono agenzie che si occupano dell’aggregazione e vendita di tutte queste informazioni al miglior offerente. Un business come tutti gli altri sembrerebbe, ma è un business che porta un beneficio a tutti: i “data brokers” offrono l’opportunità a chiunque, almeno in teoria, di ottenere queste preziose informazioni.

    (Ovviamente quest’opportunità potrebbe non essere sempre un beneficio, soprattutto se consiste nel fornire informazioni sensibili a chiunque le voglia, ma questa è tutta un’altra questione, senz’altro interessante da discutere, ma che per la mia argomentazione non importa.) Le informazioni sono di grande valore per chiunque voglia comprendere meglio il mondo. Infatti queste informazioni, anche se a prima vista potrebbero sembrare prive di significato, se analizzate nel modo giusto, potrebbero mettere in luce una risposta alla domanda a cui si sta cercando di rispondere, potrebbero quindi essere fonte di conoscenza.

    Questo spiega perché la capacità di comprendere il mondo è estesa dalla digitalizzazione: con la digitalizzazione, e quindi con i computer digitali, vengono messe a disposizione informazioni, che non sarebbero altrimenti disponibili, grazie alle quali si possono comprendere cose.

    Un’altra conseguenza della digitalizzazione, soprattutto se accompagnata dall’utilizzo dell’ormai onnipresente smartphone e di Internet, è la digitalizzazione della nostra vita. Con “digitalizzazione della nostra vita” intendo dire la registrazione di ogni evento della nostra vita registrabile sottoforma di informazione digitale, per via degli strumenti digitali che usiamo, come appunto per esempio lo smartphone. La “digitalizzazione della nostra vita” avviene perché è redditizia. Può sembrare strano, ma è così. Come spiegato già prima, “sapere è potere”, quindi anche l’essere in possesso del sapere che riguarda un individuo può dare dei poteri per i quali ci sono aziende, entità che sono disposte a pagare. I poteri che questi dati personali, che riguardano la persona, possono dare sono moltissimi, ma in generale consistono nel poter influenzare, “manipolare” gli individui per il proprio tornaconto. Il modo in cui Cambridge Analytica, azienda protagonista dell’omonimo scandalo, ha usato i dati personali per influenzare le scelte politiche degli individui rappresenta un chiaro esempio di questa pratica.

    Dato che la nostra vita viene costantemente digitalizzata per scopi di lucro, allora non sarebbe poi così azzardato parlare di un “individuo digitale”. “L’individuo digitale” non è nient’altro che l’individuo, in formato digitale. Sembra una ripetizione, ma non lo è. Se tutto quello che definisce un individuo, ovvero tutto quello che è unico di una persona, viene descritto in termini di uni e di zeri, in formato digitale, allora ecco che otteniamo “l’individuo digitale”. Detta diversamente, ciò vuol dire che l’individuo digitale è rappresentato dall’insieme di tutti quei dati con cui si può risalire ad un unico individuo, che ne è quindi la fonte, il produttore.

    L’esistenza dell’individuo digitale ha una grande implicazione. Le informazioni che compongono l’individuo digitale sono spesso molto, molto dettagliate. Faccio un esempio per spiegarmi immaginando una persona qualsiasi, che chiamo Carlo: se nella vita reale Carlo è definibile come quello che abita in Via Quota 15 e che ha i capelli castani e gli occhi azzurri ed è alto 1,8 m (quindi con queste informazioni posso risalire solo a lui), nel mondo digitale è definibile come quello la cui sveglia digitale suona ogni mattina alle 8:05, quello che legge spesso il Venti Minuti, quello che è appena stato 5 giorni fa a Londra e che ha pagato con la carta di credito il costo del suo pernottamento vicino a Covent Garden, eccetera, eccetera. Il punto fondamentale è che con entrambe le informazioni dei due tipi, digitale e non, riesco a risalire solamente a Carlo, ma quelle digitali sono spesso molte, molte di più. Tutto ciò ha un grande significato: vuol dire che se uno fosse in possesso delle informazioni che compongono il corrispettivo digitale di Carlo, allora potrebbe essere molto probabilmente nella posizione di conoscere Carlo molto meglio del migliore amico di Carlo!

    È per questo motivo che si dice per esempio che “Google ti conosce meglio di quanto tu conosca te stesso”; proprio perché Google possiede il tuo “individuo digitale”, è in possesso dei dati digitali che lo compongono (che si procura anche in parte dai “data brokers” di cui ho parlato) e che se analizzati, possono rivelare cose di cui nemmeno tu eri ha conoscenza. Un esempio concreto di cose di cui nemmeno tu potresti renderti conto? Il fatto che sotto la condizione x tendi sempre a fare y per esempio, ma questo è solo uno degli innumerevoli esempi possibili. Con le conoscenze su di una persona che ha a disposizione, Google può poi, come già detto, manipolare quella persona per trarre profitto.

    Un esempio concreto? Ammettendo che la condizione x sia che fuori piova e che la conseguenza y consista nel cliccare di più le pubblicità che vengono proposte, allora Google potrebbe per esempio vendere uno spazio per la pubblicità e questa informazione di grande valore all’agenzia pubblicitaria per un prezzo superiore alla norma, la quale in cambio ottiene, oltre alla messa in mostra della propria pubblicità, una probabilità maggiore che essa venga cliccata dalla persona in questione. È un cosidetto “win-win” per Google e per l’agenzia pubblicitaria del nostro esempio, ma è anche un “win” per la persona i cui dati personali vengono venduti?

    Più in generale, è un bene per l’individuo, che moltissimi dei dati digitali che produce vengano venduti e contribuiscono a formare il suo “individuo digitale”? Magari sì, magari no, dipende da persona a persona. Ad alcuni ciò non importa, ad altri sì. Da come tutta l’industria che si occupa di questo traffico di dati ha avuto un enorme successo economico (basti pensare alle aziende multimiliardarie Google e Facebook, la cui principale fonte di guadagno è proprio questo traffico di dati) sembra che a molta gente non importi poi così tanto. Ma io credo che a molta gente non importi molto, non tanto perché è disposta ad accettare le conseguenze negative, ma più perché non ne è nemmeno a conoscenza. L’industria che si occupa di traffico di dati è un’industria il cui funzionamento non è molto trasparente; raramente quest’industria informa il pubblico generale sulle reali conseguenze che il traffico di dati che svolge comporta: se lo facessero, la gente molto probabilmente non sarebbe più così d’accordo con il traffico dei propri dati, e questo cambio di opinione avrebbe ripercussioni molto negative sui profitti dell’industria.

    Io ritengo che siano necessarie maggiori regolamentazioni per la raccolta e il traffico dei dati digitali in modo da prevenire le possibili conseguenze future tanto ignorate dalla società in generale. Altrimenti, se non vengono introdotte regolamentazioni più severe, nel futuro prossimo potrebbero insorgere effetti indesiderati dalla popolazione, tra cui per esempio la totale mancanza di privacy, la repressione sistematica da parte di un governo autoritario e in generale la perdita delle libertà di un individuo.