Franz Georg Hermann (1757), "Baum des Porphyrius", Abbazia di Schussenried, dettaglio dell'affresco della sala della biblioteca.

Rubrica: Che cosè..?

Che cos’è il “problema degli universali” dell’epoca di Pietro Abelardo?

Si potrebbe rispondere a questa domanda in tre modi: (1) segnalandone una caratteristica accidentale (ma, vedremo, non così secondaria); (2) cercando in modi diversi di cogliere il punto centrale, il quid, per così dire, della discussione; (3) per rimozione, indicando che cosa tale discussione non è.

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    Uno degli argomenti della filosofia medievale più noti anche ai non specialisti è il cosiddetto “Problema degli Universali” o “Dibattito sugli Universali”. La prima metà del XII secolo, nel contesto vivace e (dialetticamente) belligerante delle scuole del Nord della Francia, è un momento saliente della discussione, in cui Pietro Abelardo si oppone ad altri maestri del tempo, ad esempio Guglielmo di Champeaux e Roscellino di Compiègne (ma contribuiscono alla discussione anche autori oggi meno celebri, come Alberico di Parigi e Roberto di Melun, e altri il cui nome ci è ormai del tutto ignoto). Ma che cos’è, precisamente, il “dibattito sugli universali” dell’epoca di Pietro Abelardo? Si potrebbe rispondere a questa domanda in tre modi: (1) segnalandone una caratteristica accidentale (ma, vedremo, non così secondaria); (2) cercando in modi diversi di cogliere il punto centrale, il quid, per così dire, della discussione; (3) per rimozione, indicando che cosa tale discussione non è.

    (1) Alla caratteristica accidentale si è già fatto cenno: il cosiddetto “Problema degli Universali” è uno degli argomenti più famosi della filosofia medievale. Si può dire di più: lo studio proprio di questa discussione si intreccia all’emergere della storia della filosofia medievale come disciplina accademica nel corso dell’Ottocento, in particolare in Francia. Nel 1836, Victor Cousin affermava che tutta la filosofia medievale si poteva ridurre alla querelle tra realisti e nominalisti a proposito degli universali. Nel dibattito sui generi e le specie Cousin vedeva una discussione puramente filosofica in un’epoca in cui tanta filosofia era invece, a suo modo di vedere, commista alla teologia; e l’eroe della querelle secondo Cousin, ossia Pietro Abelardo, assurgeva a emblema del razionalismo francese insieme a Cartesio. Così la querelle ha ricoperto un ruolo in quella che Catherine König-Pralong ha chiamato la “colonizzazione francese” della filosofia medievale. Questa caratteristica accidentale non è affatto secondaria. Non solo troviamo qui in opera una precisa definizione di cos’è – e cosa non è – la filosofia medievale; l’importanza così riconosciuta alla discussione sugli universali ha anche significato che la ricerca si è concentrata su di essa molto più che su altri temi. Ciò ha portato con sé una tendenza – anticipata già, a ben vedere, dalla riduzione cousiniana – a ricondurre al “Problema degli Universali” anche altre discussioni. La celebrità della disputa l’ha, tutto sommato, resa meno chiara e meno limitata – rendendo difficile cogliere che vi erano anche aspetti non dibattuti, ma assunti (si veda il punto 3 sotto).

    (2) Andando più al cuore della questione, chiediamoci su cosa verte la querelle divenuta così celebre. Ora, rispondere a questa domanda presuppone di aver già scelto un particolare approccio alla storia della filosofia medievale. Negli ultimi decenni, vi sono stati in particolare due modi diversi di affrontare lo studio del tema.

    (2a) Secondo un primo approccio – che si rinviene già negli studi di Bruno Maioli negli anni Settanta, ma che più recentemente è stato coltivato da autori, come Claude Panaccio e Gabriele Galluzzo, interessati anche a stabilire un dialogo tra la filosofia medievale e la filosofia contemporanea, soprattutto analitica – il problema degli universali può essere definito come la risposta:

    • alla domanda (epistemica): ‘cosa corrisponde nella realtà ai nostri concetti generali (ad esempio al concetto di uomo o di animale)?’; oppure

    • alla domanda (semantica): ‘cosa corrisponde nella realtà ai nostri termini comuni o astratti (ad esempio al nome comune ‘uomo’)?’; oppure

    • alla domanda (ontologica): ‘i generi e le specie esistono, oppure no?’ oppure alla domanda: ‘cosa sono i generi e le specie?’.

    Il problema degli universali – ossia, in primo luogo, generi e specie – ha dunque un aspetto epistemico, uno semantico e uno ontologico. Pur caratterizzata dalle sue peculiarità, la discussione medievale può (e anzi, dovrebbe) essere confrontata con le discussioni antiche e contemporanee su questi temi, dato che, per molti aspetti, gli autori di tutti questi periodi stanno affrontando lo stesso problema.

    (2b) Un approccio diverso è stato propugnato da Alain de Libera seguendo il metodo, influenzato da Michel Foucault e da Robert Collingwood, che egli chiama dell’“archeologia filosofica”. Secondo de Libera, bisogna liberarsi di quell’illusione a-storica, per cui si vede nel problema degli universali un problema “perenne”, un “arciproblema” che si ripresenterebbe continuamente, in forme diverse, nel corso dei secoli. Al contrario, bisogna riconoscere che la discussione si genera in una certa epoca attorno in particolare a certi testi ed è, in altri termini, suggerita dall’archivio di testi disponibili e studiati dai filosofi di un certo periodo. Leggendo il primo testo di logica che veniva studiato nel Medioevo, ossia l’Isagoge (Introduzione) di Porfirio, unitamente ai commenti di Boezio (in particolare il Secondo Commento all’Isagoge) i maestri del XII secolo hanno affrontato e discusso alcuni problemi sollevati direttamente dalle loro fonti. In particolare, hanno affrontato tre domande menzionate da Porfirio al riguardo, e discusse più ampiamente da Boezio, ossia (la traduzione può variare a seconda che si traduca dal testo greco di Porfirio oppure, come faccio qui, dalla traduzione latina di Boezio):

    [a] se i generi e le specie sussistano oppure risiedano soltanto in concetti nudi e puri;

    [b] se, qualora sussistano, siano corporei o incorporei;

    [c] se siano separati oppure nei sensibili e in rapporto con essi.

    La discussione dei maestri del XII secolo, in dialogo con Boezio, su cosa siano i generi e le specie di cui tratta Porfirio è il problema degli universali nel XII secolo. Le tre domande di Porfirio e Boezio, a loro volta, riprendono discussioni tardo antiche, che coinvolgono non solo aristotelismo e platonismo, ma anche stoicismo.

    Sia che lo consideriamo nel modo (2a) sia nel modo (2b), quali sono le soluzioni avanzate dai maestri della prima metà del Millecento? Molte ricostruzioni (di nuovo, già ottocentesche) presentano una triade di soluzioni, secondo cui gli universali sarebbero cose (res), oppure parole (sermones, nomina, voces), oppure concetti (intellectus). Vi sarebbero dunque un realismo, un nominalismo e un concettualismo del XII secolo. Come ha mostrato de Libera, questo tipo di ricostruzione proietta sui testi del dibattito una triade (cose-concetti-parole) che deriva dal De interpretatione di Aristotele e che veniva utilizzata già in epoca tardo-antica per discutere quale fosse la materia affrontata da Aristotele nelle Categorie. Dal De interpretatione la triade di cose-concetti-cose si è così “travasata”, per così dire, sulle Categorie prima e sull’Isagoge poi.

    A ben vedere, però, la discussione dell’epoca di Abelardo non è organizzata attorno alla triade di cose-parole-concetti, ma piuttosto attorno a due alternative soltanto: cose e parole; o anzi, per essere più precisi: cose-e-parole da una parte vs. parole soltanto, dall’altra.

    Secondo alcuni autori della prima metà del XII secolo, i generi e le specie sono primariamente delle cose. Esistono dunque delle cose universali, che svolgono la funzione di costituenti delle cose individuali. In questa prospettiva, gli universali sono spesso paragonati a una materia: il genere è materia delle sue specie, che esso produce ricevendo le forme, o differenze, specifiche; la specie è materia dei suoi individui, che essa produce quando riceve le forme degli accidenti. Secondariamente, “in virtù di” tali cose universali (gratia rerum), vi sono anche delle parole universali, che significano le cose universali. Un realismo di questo tipo sembra essere stata la posizione sostenuta, ad esempio, da Guglielmo di Champeaux. Si tratta dunque di una combinazione di realismo e semantica; è, come notato già da Jean Jolivet, un “realismo a base semantica”, che postula un costante parallelismo tra cose e parole. Un simile approccio eredita il modo di considerare i generi e le specie altomedievali (che, come ha mostrato Christophe Erismann, considerava gli universali come cose e come costituenti di altre cose, in una prospettiva non tanto linguistica quanto ontologica); ma ad esso si aggiunge, dalla fine dell’XI secolo, il crescente interesse per le arti del linguaggio e per lo studio di fenomeni linguistici, testimoniato ad esempio da una ricca tradizione di commenti alle Institutiones grammaticae di Prisciano, studiata da Anne Grondeux e Irène Rosier-Catach.

    Probabilmente proprio a partire dal crescente interesse per il linguaggio (che dunque, come si è visto, era condiviso anche dai realisti) emergono anche posizioni secondo cui i generi e le specie sono solo parole che indicano altre parole. È genere il termine ‘animale’; è specie il termine ‘uomo’, ma non esistono la cosa universale animale e la cosa universale uomo. Teorie di questo tipo, sostenute ad esempio da Pietro Abelardo nella sua Logica ‘Ingredientibus’ e nella Logica ‘Nostrorum Petitioni Sociorum’, hanno il vantaggio di ricorrere a un’ontologia ridotta, che comprende unicamente cose individuali; ma devono spiegare come i termini universali generino concetti universali non “vuoti”; e come i termini universali si riferiscano alle cose, se non possono riferirsi a cose universali. Utilizzando alcuni concetti presenti già nella tradizione di commento a Prisciano coltivata dai suoi rivali realisti, Abelardo distingue, per il nome universale, tra nominatio e significatio. Egli afferma che un termine universale nomina delle cose singolari, ma significa (ossia genera nella mente dell’uditore) un concetto universale e comune; afferma inoltre che un nome universale è imposto sulle cose a partire da una causa comune di imposizione, lo status, che non è però una cosa esistente.

    (3) Infine, per completare la nostra presentazione è importante anche procedere per rimozione, e tenere presente che cosa il problema degli universali nella prima metà del XII secolo non è. A questo proposito occorre sottolineare che gli autori del XII secolo impostano la loro discussione a partire alcuni testi autorevoli (come l’Isagoge di Porfirio, le Categorie di Aristotele, e i relativi commenti di Boezio). Costruendo il loro discorso sul pentagramma, per così dire, fornito dalle autorità, essi considerano generi e specie già dati (ad esempio, Animale è il genere cui appartiene la specie Uomo, e Uomo è la specie cui appartiene Socrate). Anche le definizioni associate ai generi e alle specie sono desunte dalle fonti autorevoli, anche quando (come la definizione di Uomo come “animale bipede”) possono suscitare delle perplessità (un uomo amputato resta comunque bipede?). Da questo punto di vista, è importante segnalare che la discussione non affronta domande quali: “Come devono essere raggruppati certi enti?” Né: “Sulla base di quale principio sono simili certe cose?” Queste domande platoniche non sono il punto di partenza del nostro dibattito, che muove invece da raggruppamenti già dati.

    Ricapitolando, potremmo rispondere così alla nostra questione, “Che cos’è il dibattito sugli universali dell’epoca di Pietro Abelardo”?

    1. Secondo alcuni autori della storiografia ottocentesca, in particolare di ambito francese, l’insieme della filosofia medievale.

    2a. Una discussione su quale sia la natura di generi e specie (o anche: quale sia il significato dei termini comuni; o anche: cosa corrisponda nella realtà ai nostri concetti astratti) che, pur nelle sue peculiarità, si può proficuamente confrontare con discussioni antiche e contemporanee.

    2b. Una discussione su quale sia la natura di generi e specie (se sussistano o siano concetti vuoti; se siano corporei o no, se siano separati dai sensibili o no), in cui, attraverso dei testi letti nel XII secolo (principalmente di Porfirio e Boezio) riemergono l’opposizione tra platonismo, aristotelismo e stoicismo dell’epoca tardo-antica.

    3. Non è una discussione sulla validità delle nostre categorie (se, cioè, una certa specie o un certo genere sia un valido raggruppamento di cose) né (in genere) su come categorizzare determinate cose (se, cioè, una certa cosa appartenga a una certa specie oppure a un’altra), dato che muove da categorizzazioni già date delle cose.

    E, per concludere, forse posso aggiungere una mia quarta risposta: è una discussione medievale affascinante, in cui, attraversando spesso la frontiera tra analisi e meta-analisi, indaghiamo non solo cosa hanno sostenuto i medievali, ma anche come noi cerchiamo oggi di ricostruirlo. Un argomento, dunque, da frontaliers in quest’epoca di confini piuttosto chiusi.

     

    Per approfondire:

    Catherine König-Pralong, “Découverte et colonisation françaises de la philosophie médiévale (1730-1850)”, Revue des sciences philosophiques et théologiques 96 (2012), 663‒701.

    Catherine König-Pralong, Médiévisme philosophique et raison moderne. De Pierre Bayle à Ernest Renan. Paris: Vrin 2016.

    Gabriele, Galluzzo, “The Problem of Universals and Its History: Some General Considerations”, Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale 19 (2008), 335‒69.

    Gabriele Galluzzo, Breve storia dell’ontologia, Carocci: Roma 2011.

    Claude Panaccio, “Les universaux au Moyen Âge: où est le problème?”, in Sujet libre. Pour Alain de Libera. ed. Jean-Baptiste Brenet et Laurent Cesalli, Laurent, Paris: Vrin 2018, 239244.

    Claude Panaccio, “Universals”, in The Oxford Handbook of Medieval Philosophy, ed. John Marenbon, Oxford: Oxford University Press 2012,

    Alain de Libera, La querelle des universaux. De Platon à la fin du Moyen Âge. Paris: Seuil 1996.

    Alain de Libera de, L’archéologie philosophique. Séminaire du Collègede France 2013-2014. Paris: Vrin 2016.

    Christophe Erismann, L’Homme commun. La genèse du réalisme ontologique durant le Haut Moyen Âge, Paris: Vrin 2011

    Anne Grondeux et Irène Rosier-Catach, Priscien lu par Guillaume de Champeaux et son école. Les Notes Dunelmenses (Durham, D.C.L, C.IV.29). 2 vols. Turnhout: Brepols 2017.