Introduzione generale
Il tema dell’eternità del mondo è antichissimo almeno quanto la filosofia. I primi fisici, o fisiologi, si posero il problema del principio e della natura in senso lato, posti, tra frammenti, testimonianze e trattati che formano la tradizione presocratica. Scopo di questi testi era la ricerca dell’origine, o dell’arché, delle cose, del cosmo, e la struttura intima degli elementi che compongono la natura fisica. In tantissimi luoghi dei vari “Περί Φύσεως” – questa era infatti la denominazione dei trattati – si può scorgere l’eternità degli elementi: in Anassagora di Clazomene niente si genera e niente si corrompe, le cose che sono nel mondo sono mescolanze di “semi” che unendosi e separandosi formano il divenire[1]. Ma i semi, una sorta di atomi, sono la materia comune, e per Anassagora erano esistenti ab aeterno, proprio per questo erano rimaste per un tempo infinito in quiete, prima dell’inizio del movimento. Per Empedocle, i quattro elementi fisici che compongono il cosmo, alternati da un movimento disgregante (odio) e aggregante (amore) che compongono il divenire, sono eterni; allo stesso modo Democrito pose gli atomi come eterni, indivisibili, e il movimento e l’aggregazione genera le cose che sono, tuti gli aspetti fisici.[2] Nel Timeo, Platone formula la sua cosmogonia, a partire dal concetto di Χώρα (Chôra), ovvero un ricettacolo invisibile e senza forma[3], una sorta di stato intermedio tra materia e intellegibilità che rende possibile la generazione: una materia preesistente dal mondo che il demiurgo ordina e definisce dal caos che gli appartiene; in sostanza si può definire come materia eterna, non ancora costituita. Dopo Platone, c’è stato Aristotele che ne ha trattato in maniera sistematica, in vari luoghi, nel De Caelo e in particolar modo nel De Generatione et Corruptione. In quest’ultimo testo, Aristotele discute della nozione di generazioni necessarie, chiedendosi a tal motivo, cosa fosse un rapporto di necessità, ovvero il rapporto tra antecedente e conseguente, ove posto il primo, il secondo è necessariamente dato: la plausibilità che una simile situazione tipo accada non può darsi in un processo lineare infinito (per la famosa reductio ad infinitum) poiché si rinvierebbe sempre ad una causa precedente, e questa visione negherebbe la causalità del primo motore immobile[4]; ma non può darsi neanche in un processo lineare finito[5], poiché il necessario è eterno, e dunque per Aristotele non si può dare una necessità nella finitezza. Ciò che resta è una modalità ciclica, che anche se ha un inizio, essendo ciclica e dunque eterna. Questa è infatti la struttura circolare del moto dei cieli e delle generazioni in senso ampio, dalle stagioni alle trasformazioni degli elementi. L’eternità del mondo in Aristotele è in accordo con cause eterne, una, immobile, ingenerata e causa universale, il primo motore, e una mobile, ovvero gli astri. La struttura fisica/cosmologica è la seguente: c’è il primo motore immobile, che causa Motori eterni fino al ciclo delle stagioni. La considerazione muoveva da un forte impianto che Aristotele pose nella Fisica, e propriamente nella natura dell’istante; creare nel tempo non era sostenuto proprio perché l’istante era considerato come “medio”, come centro di passato e futuro, in questo senso un primo istante sarebbe stato impossibile. Da ciò possiamo capire come intendesse Aristotele l’eternità, ovvero come una dimensione senza inizio né fine. Proprio per questa coerenza nella meccanica cosmologica, il ragionamento di Aristotele ebbe un noto successo, in positivo e negativo, durante tutta la scolastica. La disputa sulla eternità del mondo coinvolge i maggiori esponenti della filosofia medievale, cristiana e non, proprio perché il centro del dibattito è Dio e il tempo. La grande ripresa di questo tema è proposta da Severino Boezio, nel libro V della Consolazione, quando definisce l’eternità di Dio, indica il perfetto, simultaneo, e completo possesso della intera vita in un solo istante presente.[6] Un altro grande filosofo cristiano che riprende in modo massiccio il tema dell’eternità, è Agostino d’Ippona nelle Confessioni, che discute di eternità in Dio, intendendo un presente solo, nel senso della dimensione del “sempre” [7], poiché è Dio creatore del tempo, del prima e del poi, passato, presente e futuro: il tempo è una creatura, e prima del tempo non esisteva. In questo senso Agostino cerca di connettere la dimensione ontologica di Dio, l’essere e la sua immutabilità, con la sua eternità. La questione non restò affatto conclusa, ma nel pieno Medioevo addirittura fu protagonista di condanne, in un clima culturale, quello di Parigi, che conosceva molto bene Aristotele, e visti gli effetti si arrivò ad un punto in cui il 10 Dicembre 1270, il vescovo di Parigi Stefano Tempier pubblicò una lista di 13 errori, vietandone l’insegnamento. Negli errori evidenziati c’era quello dell’eternità del mondo e della assenza del primo uomo. La polemica sull’eternità del mondo fu molto accesa: l’azione disciplinare che toccò l’orlo a Parigi, fu l’espulsione di un docente, e tra molti, questa sorte capitò anche ad Egidio Romano.[8]
Delle differenti accezioni di “Eterno” nei pensatori medievali, John Marenbon propone una ricostruzione che è davvero molto utile, indicando due sensi: il primo è quello di “Perpetuity” che formalizza come “P-eternity”, ovvero quando qualcosa o manca di inizio (P-I), o manca di fine (P-II), o manca di inizio e fine (P-III); oppure c’è l’eternità “O-eternity” intesa come del tutto al di fuori del tempo e quindi immisurabile.[9] Al primo tipo di eternità corrisponde P-III (senza inizio né fine), al secondo tipo corrisponde P-II (senza una fine); tuttavia per un pensatore scolastico ciò che non ha inizio, proprio per questo non ha una fine, di conseguenza P-I è compreso in P-III; Marenbon afferma, successivamente, che Dio è eterno (O-eternal) proprio perché perpetuo (P-eternal). Questo sembra essere più o meno la classificazione, tenendo conto anche del tempo dell’anima e degli angeli (aevum). Nello stesso testo, Marenbon dice che, per quanto riguarda il concetto di eternità, uno dei più completi espositori fu Alessandro di Hales[10], e per questo il primo excursus sarà sul magister francescano. Alessandro di Hales nella prima parte della ottava distinctio[11] nella Glossa in quatuor libros Sententiarum, il francescano compie le prime riflessioni sul tempo, ove colloca Dio, e solo Dio, in una dimensione, l’eternità, che non ha principio e fine; invece ciò che ha principio ma non ha fine, sono le creature: all’eternità appartiene il nunc permanens, l’ora permanente. Le altre modalità temporali, come il passato, il presente e futuro, appartengono al tempo, ma anche all’aevum e all’eternità (solo se intesa dell’ente avente inizio e non una fine) perché questi sono considerate durate divisibili; l’unica modalità che eccede il tempo è l’eternità che conviene all’ente che non ha inizio e fine, ovvero Dio, che è in un unico nunc che dura sempre (mentre il tempo, invece, scorre), identico nella sostanza[12]. Allora l’eternità è distinta dagli enti generabili mediante l’interminabilità; dagli enti perpetui (interminabili ma mutevoli) mediante la totalità simultanea; da ciò che è interminabile e invariabile dalla semplicità. Nel quarto capitolo della prima parte della Summa Theologica, il francescano dice che per ciò che non è eterno v’è un tempo anteriore all’esistenza, ovvero c’è il non essere prima, cronologicamente, dell’essere: questo postulato rende chiara la posizione di Alessandro sull’eternità del mondo, nel senso che è impossibile sia creato ed eterno, proprio perché è de nihilo e post nihilo, e quindi esiste necessariamente un inizio della sua durata. Secondo Alessandro (e questa è una posizione che anche Alberto e Tommaso terranno molto in considerazione)[13]i filosofi hanno sostenuto l’eternità del mondo perché erano referenti solamente di elementi “immanenti” e naturalistici, e tuttavia, spiega, chi indaga le cause divine[14], o superiori, ha chiaro il fatto che ci sia un inizio del tempo, del moto e del mondo.[15] L’inizio è la creazione, ovvero il primo momento dopo l’assoluto non essere.
Atto della creazione: Bonaventura e Tommaso
In molti passi dei commenti francescani sembra che si faccia una sorta di “fenomenologia” della creazione dalla parte della creatura (ex parte creaturis). Si è cercato, nell’esposizione della posizione di Alessandro di Hales, di dare un fil rouge di tutto il pensiero francescano sulla creazione, infatti deve essere chiaro che i francescani sono stati molto compatti, rispetto ai domenicani. Negli anni del primo commento alle Sentenze di Tommaso, il novello baccelliere sentenziare domenicano, si esprime duramente sia contro Aristotele sia contro gli argomenti della creazione nel tempo; in questo contesto è chiaro che risulta molto particolare il fatto che un giovane baccelliere critichi tutta la tradizione teologica e addirittura la posizione assunta da Guglielmo d’Auvergne, primo maestro di teologia e vescovo di Parigi[16]. Nel 1256 il capitolo provinciale dei Domenicani della Provenza emette un’ordinanza che ribadisce la condanna dei dieci errori contra veritatem theologicam, nei quali è anche indicata la condanna all’eternità del mondo. Inevitabilmente la posizione scosse molto l’ambiente dell’Università parigina.
Bonaventura proponeva la concezione della creazione dal nulla in senso pienamente cronologico, addirittura (e qui che si intende meglio la “fenomenologia” della creazione nel tempo) suddividendo la gradazione crescente del tempo in comunissime, communiter e proprie. Tempus comunissime è la misura dell’exiturs dal non essere all’essere; tempus communiter è la misura di qualsiasi mutamento, di quello che fu prima del primo mobile; tempus proprie è la misura del moto del primo mobile: in tal modo il mondo è creato simul col tempo comunissime, ovvero è questo il tempo della creazione, la seconda accezione è il tempo della dimensione appartenente alla materia prima che non ha ancora ricevuto forma[17], e solo nella terza accezione c’è il tempo della durata creaturale. Tommaso non patteggiava per questa fazione. In realtà la posizione di Tommaso è quasi unica nel suo genere. Lo stesso Bianchi nel suo testo, parla di una destra, una sinistra e un centro rispetto a questo tema, ove a destra vi furono i teologi “necessitaristi”, secondo cui la creazione nel tempo è necessaria razionalmente, con una massiccia presenza francescana, una sinistra che ebbe al centro i filosofi averroisti-aristotelici, secondo cui il mondo era creato dall’eterno, e al centro vi fu Tommaso d’Aquino e diremmo un Alberto Magno singhiozzante. Mentre Alberto nei suoi commenti tenta di fare una analisi piuttosto “ermeneutica” di Aristotele, giustificandone il contesto e gli elementi utilizzati dal greco, talvolta venendogli molto incontro[18], Tommaso tende a concepire il concetto di creazione come nuovo per la filosofia greca, quindi Aristotele non era intenzionato ad errare, seppur lo chiama eretico nei commenti, ma a polemizzare contro le vedute di Anassagora, Empedocle e Platone. Per Tommaso, la creazione ex nihilo è creare dal nulla tutto, e nulla preesiste alla produzione divina: nella Summa contra Gentilesdopo aver dimostrato razionalmente la creazione, Tommaso dimostra la sua non necessità[19]. Lo stesso discorso vale per l’eternità: non è necessario che gli esseri creati siano ab aeterno perché l’eternità o meno è un fatto che può essere o non essere, ma poniamo che sia creato per il dato di fede. Nella critica agli argomenti pro creazione nel tempo, Tommaso analizza anche quello di Bonaventura, del nulla prima dell’essere temporalmente, bollandolo come «non est efficax», perché constata che il nulla sia prima dell’essere, ma in maniera naturale e non cronologica, proprio perché la creazione avviene nell’istante, non in una potenza precedente alla creazione delle cose, come sostenevano molti. Creazione non è né moto né mutazione, come dirà in più luoghi l’Aquinate, se non secondo metafora, ed è creazione dalla causa universale. Distinzione assai fondamentale, è la distinzione tra causa particolare e causa universale[20]: la causa universale è Dio che «est agens sicut causa universalis essendi», mentre invece la causa o agente particolare è «quod requirit ex necessitate materiam praeiacentem ex qua operetur», sembra chiaro che la creazione è atto di causa universale ove non c’è una protoforma, un archetipo, ma il creato. Nel De Potentia definisce l’atto della creazione non come un atto che pone la potenza di creare (ciò che invece risulterebbe dalla tradizione platonico-agostiniana-francescana), ma l’atto della creazione come atto totaliter, e ciò vuol dire che Dio quando crea un ente, lo crea totalmente, senza bisogno di alcuna materia prima.[21] La creazione è un dato di fede, ed è questo che conta per Tommaso e che fonda la sua posizione, spiegabile come si è visto, ma non dimostrabile absolute: ed è per questo che sul piano dimostrativo, creazionismo ed eternalismo si equivalgono ma non totalmente, perché dimostrare l’eternità è in un certo modo più difficile, ma sono carichi, entrambi di strutture logiche fortemente creaturali[22], e nell’esaminazione di ciò che può fare Dio nei suoi atti non è impossibile secundum se il fatto che qualcosa che sia creato, e quindi diverso da Dio, sia sempre stato, e che quindi Dio nella sua infinita potenza e volontà abbia potuto fare. Nella distinzione che fa ex parte Dei e ex parte creaturis, Tommaso, principalmente nel De Potentia, dice che Dio avrebbe potuto creare qualcosa di eterno, tuttavia da parte della cosa prodotta (ex parte creaturis) c’è bisogno di dire che posta la fede, una cosa eterna non può essere, in quanto l’ente è sempre ente creaturale creato, ma il ragionamento di Tommaso è sottile: c’è una possibilità teorica da parte di Dio e un’impossibilità de facto da parte della cosa creata. E’ giusto ribadire uno dei problemi di fondo che tratteneva questa questione più del dovuto. Tommaso rigetta un modo di pensare Dio che vedeva nella immediatezza-necessità-eternità della sua essenza un vincolo per la sua libertà e volontà: sprezza i seguaci di Aristotele, Avicenna in primis, che affermano la creazione del mondo, ma affermano anche che fu creato dall’eternità, perché la volontà divina è immutabile e coincide con la sua essenza eterna. Per Avicenna, porre la variabilità in Dio, vuol dire porre il divenire nella sua volontà, che sarebbe immutabile[23]. Sembra che questo sia il fulcro della tesi di Tommaso, che il rendere necessaria la volontà divina, “blocchi” Dio in un necessitarismo. Dio, infinitamente potente, può volere dall’eternità, ma non per questo tutto ciò che vuole è ora: è ora ciò che Dio vuole che sia ora, è sempre ciò che Dio vuole sempre, come affermò anche Guglielmo d’Auvergne nel suo De Trinitate[24]. Sembra che la questione che preme Tommaso è la volontà e la potenza di Dio, che nella infinita potenza avrebbe potuto fare e creare sia nell’inizio temporale, sia nell’eternità, senza essere contro razionalità. Ma a questo Tommaso non fa cadere il dato di fede, che comunque resta quello più forte, e rivelato a noi.
La questione è se il mondo sia stato creato dall’eternità. Su questo nulla quaestio. Ciò che appare però dall’atteggiamento dell’Aquinate è molto spesso un discostamento dal problema. Mentre la scuola francescana è univoca nel porre la questione nei soli termini della tradizione agostiniana-platonica, Tommaso sembra differire molto spesso, andando su un genere di argomentazione che rende un’incomunicabilità di fondo. Nell’argomentare i francescani pongono un atteggiamento ontologico ex post (quindi ex creaturis). Ciò che è, così com’è, è così e basta, Dio l’ha fatto e nella volontà di Dio che agisce è necessario sia stato così: questa impostazione si potrebbe chiamare ontologia ex post. Il mondo è così perché Dio l’ha voluto così, questo basta per i francescani, è necessaria la volontà di Dio nel volerlo così il mondo, creato. Tommaso non è in totale disaccordo, è chiaro che sia per argomentazioni razionali, sia soprattutto per la fede, la creazione è un atto della volontà di Dio. Ma ciò che è necessario per Tommaso è l’atto della volontà di Dio e non la volontà di Dio di porre l’atto, cioè è necessario che Dio fa ciò che fa: per Tommaso Dio può tutto ciò che vuole, se lo vuole, nella sua libertà e infinita potenza, ma Dio può anche tutto ciò che non vuole e non, come affermava un certo filone antagonista (greco-arabo) al Nostro, che Dio abbia potuto necessariamente solo ciò che ha voluto, come se Dio fosse un principio intrinseco della natura e quindi sottomesso alle stesse sue leggi. E’ Dio che pone la necessità. Questo ragionamento si può indicare come ontologia ex ante perché si concentra sui principi ontologici del causante e non del causato; non sembra neanche azzardato a questo punto dire che in queste argomentazioni Tommaso, ponendo un’ontologia ex ante, disquisisca sui mondi possibili, ovvero sul fatto che, posto lo statuto ontologico del causante, il causato avrebbe potuto esser creato ab aeterno.
La perplessità che si può chiedere all’Aquinate è la seguente: nel De aeternitate mundi contra murmurantes, ma anche in altri luoghi, si argomenta che la potenza attiva di Dio non è un principio intermedio tra l’essenza e le sue operazioni, ma che Dio è identità con la propria operazione, si dice che nessuna causa che produce il proprio effetto istantaneamente, lo precede necessariamente nella durata, quindi Dio, che è causa, produce l’effetto immediatamente, con l’esempio che porta il domenicano dell’illuminazione delle cose da parte della luce.[25]Quest’ultimo esempio induce a considerare che ovviamente le conoscenze scientifiche medievali non sono quelle attuali, per le quali si conosce come la luce non illumini simultaneamente al suo inizio, l’illuminato: al netto di questo sembra possibile considerare che v’è più volte nei testi di Tommaso, un accavallamento tra principi fisici naturali, e principi metafisici divini o sovrannaturali (Tommaso paragona ciò che accade con la luce con ciò che accade nell’atto creativo). Perché ciò? Perché l’atto creativo di Dio, crea l’atto della creazione fisica totaliter, ma posto che fosse simultaneo, una cosa sarebbe l’atto attuante o sussistente (la causa universale) e una cosa l’atto attuato, o l’atto sussistito (dipendente ontologicamente dalla prima) Giacché l’atto sussistente fonda la natura e il cosmo, la natura e il cosmo sono fondate, ma la causa non è l’effetto, sono realtà comunque diverse, seppur l’effetto è totalmente dipendente dalla causa. Quindi in che senso si parla di creazione simultanea? Nel senso che la causa essendo simultanea all’effetto, è con l’effetto anche nella creazione? Probabilmente, si potrebbe dire che l’atto di Dio di creare è eterno, ma la creazione creata è dipendente e perciò finita. Ma c’è altro. Si potrebbe chiedere: posto che il tempo sia dipendente dagli eventi e dalle cose[26], in senso lato dal movimento, come si è sperimentato nella fisica teorica del novecento, e non più una “creatura”, in che senso si potrebbe parlare di mondo (con tutte le leggi naturali, e la meccanica deterministica o indeterministica di fondo della natura) eterno, laddove nell’eternità non c’è movimento? L’interrogativo resta, ma ciò che di fondo pare chiaro, è che se anche Dio avesse creato un mondo dall’eternità, non sarebbe questo mondo hic et nunc, con queste leggi e con questa natura; cioè Dio avrebbe potuto creare un mondo che sia eterno, ma per forza di cose diverso quindi dal mondo che è il nostro: infatti uno dei principi fondamentali, quello del movimento, posta l’eternità nel mondo, non dovrebbe essere. Se ontologicamente il mondo è questo ente con queste leggi e strutture fisiche, ne consegue che se non ci fosse moto, non sarebbe questo mondo. Sarebbe di un altro tipo. Sarebbe molto interessante affrontare questo discorso mediante la semantica dei mondi possibili. Credo che a questo punto se si volesse tendere una mano a Tommaso, si potrebbe dire che l’atto di Dio di creare, eterno, fonda il cominciamento fisico e universale della creazione. Resta eterno l’atto di Dio, ma la creazione ha il cominciamento, ovvero bisogna che l’atto metafisico fondi un atto fisico che è quello della creazione del cosmo, dell’universo: diremmo perciò che il mondo è dalla creazione, che risulta l’effetto fisico di un atto metafisico[27], atto metafisico che resta causa universale.
Apogeo dell’incomunicabilità: Matteo D’Acquasparta
Matteo d’Acquasparta è un’interessante figura della teologia frsncescana nel tardo medioevo. La posizione di Matteo, pur non essendo originale, mantiene un’impostazione dialogante, tant’è che immette contributi filosofici anche di scuole non francescane, e soprattutto non esclude il ricorso alla filosofia, al contrario del suo confratello Pietro di Giovanni Olivi. Il tema dell’eternità del mondo fu discusso dal francescano all’interno delle Quaestiones de productione rerum, nella questione nove, ove Matteo si chiede, posto per fede che il mondo non sia eterno ma prodotto nel tempo, se Dio avesse potuto creare un mondo eterno: ciò che si discute è se Dio avesse potuto creare dall’eterno sia una contraddizione. Matteo risponde innanzitutto chiarendo il concetto di eternità[28], intesa nel senso boeziano, e poi come duratio avente principio, fine e suscettibile di variazione dell’estensione creaturale, è il tempo coevo al mondo, in questo senso può dirsi necessario il che il mondo sia eterno; eternità intesa come duratio priva di inizio e fine ma con variazione e successione. Il tipo di eternità senza inizio né fine, che corrisponde per Matteo ad Aristotele e Platone, è contrario alla fede cattolica. Secondo Matteo, molti teologi hanno pensato questa cosa come fatto possibile, come Tommaso. Analizza proprio la posizione dell’Aquinate, ovvero non considerare contraddizione tra creato ed eterno simpliciter et absolute. Matteo dice per primo che una cosa teoricamente possibile, è fattualmente impossibile nel momento in cui si accetta la fede, ma non solo, infatti per il francescano basterebbero i paradossi dell’infinito per dimostrare gli errori di questa posizione e quindi l’impossibilità di questa posizione sul mondo eterno[29]. Delle considerazioni anti eternaliste di Tommaso vengono valutate. La prima, tratta dal commento alle Sentenze, rispetto alle rivoluzioni celesti, ovvero se il mondo fosse eterno, la serie infinita di rivoluzioni celesti sarebbe impossibile da attraversare – Tommaso rispondeva che se si prende una rivoluzione lontana del passato per arrivare a quella attuale, l’insieme delle rivoluzioni sarà percorribile e quindi finito. Matteo dice che questo è un’sofisma: se infinite rivoluzioni precedessero l’attuale, una avrebbe potuto avvenire se la precedente non fosse passata, e così all’infinito[30]. Un altro argomento è quello del paradosso dell’infinità delle generazioni, argomento che si trova in Averroè e Tommaso: se il mondo è eterno, la generazione degli uomini fu dall’eternità; è impossibile che la generazione, insieme al mondo, sia eterna. Matteo riporta la replica di Tommaso, che aveva sostenuto che sì è impossibile che esista un effetto che derivi da infinite cause per sé: è possibile che siano infinite le cause accidentali la cui moltiplicazione non interessa la natura dell’effetto stesso (nell’esempio dei genitori è il caso di una causa strumentale rispetto ad una causa per sé, così sono possibili infiniti genitori in successioni, sempre che sia posta una sola causa efficiente per sé). Matteo rigetta questa risposta dicendo «ista responsio omnino est frivola»[31], perché hic homo solo accidentalmente genera un figlio in quanto è egli stesso generato da un padre, l’ordine naturale vede necessariamente che un uomo sia generato da un altro uomo e questo da un altro ancora, ma è impossibile che nei generati e nei generanti andare all’infinito, bisogna giungere al primo uomo senza il quale non ne esisterebbero ora. Risulta falso che il mondo sia eterno. Infatti, continua Matteo, se il mondo fosse eterno, ci sarebbero state infinite anime, un infinito attuale di anime. L’infinito in atto, con buona pace di Cantor, era un concetto che Tommaso non rigettava[32], almeno in senso fisico, purché si intendesse solo l’infinito in atto relativo (secundum quid), poi per l’infinità di Dio si può parlare di un’infinità assoluta. Matteo è contro l’insieme infinito ordinato accidentalmente di Tommaso, dichiarando questa tesi come “scabrosa”[33], contraria alla verità cristiana. Ma la parte interessante del pensiero di Matteo è il fatto che il francescano capì che i paradossi dell’infinito servono solo a capire l’impossibilità di una serie eterna e successiva di eventi, ma de facto non provano che una creatura singola avrebbe potuto essere creata come eterna, e per risolvere questo problema elabora quattro gruppi di argomentazioni anti eternalite: fondate sulla natura della durata; fondate sul concetto di creazione dal nulla; fondate sul concetto di creatura prodotta o producibile; fondate partendo dalla natura del primo principio. Nel primo gruppo cerca di stabilire un collegamento tra infinità, semplicità e simultaneità evidenziandone i paradossi – se il mondo fosse stato eterno anche il tempo lo sarebbe stato e di conseguenza sarebbe stato anche infinito. Ma se il tempo fosse stato eterno, lo sarebbe stato nel senso di un infinito in atto, e l’infinito in atto non conviene a una creatura quale è il tempo: il tempo non può essere, quindi, né eterno né infinito. Inoltre, se fosse infinito in atto, la sua natura sarebbe la semplicità, e la semplicità è l’indivisibilità, e il tempo non è indivisibile, anzi è scandito dal movimento. In questo senso non ci sarebbe distanza tra atto e potenza poiché sempre esso fu e sempre sarà. In generale il tempo è una realtà quantitativa (quantum), non può essere eterno. Le argomentazioni basate sul secondo gruppo sono sulla creazione dal nulla: per Matteo l’ex nihilo è classificabile non solo come un’anteriorità metafisica, ma anche un’anteriorità temporale, del non essere rispetto all’essere. Se dunque la creazione è dal nulla, nessuna creatura può essere sempre esistita, ma è necessario che abbia iniziato ad essere e quindi non è eterna[34]. Il terzo gruppo di argomenti è dedicato all’analisi dei concetti ci creatura prodotta o producibile. Matteo afferma che ogni esser stato prodotto (factum esse) è necessariamente preceduto da un venir prodotto (fieri) e questo avviene o secundum durationem, quando la cosa è prodotta col movimento, o secundum concomitationem, quando la cosa prodotta senza movimento: in quest’ultimo caso il fieri e il factum esse sono simultanei.[35]Ogni creatura è prodotta, e la produzione o è anteriore o è simultanea, nel primo caso non si dà eternità, nel secondo sono presenti due possibilità: o il fieri e il factum sono concomitanti sempre o lo sono per un momento – e qui è chiaro il rimando a Tommaso. Nel primo caso, per Matteo, la creatura viene fatta anche ora, e supponendo un angelo, un cielo eterno, dovremmo dire che sono in fieri (angelus vel caelum fit)[36], ma questo è falso perché de facto già sono esseri permanens. Nel secondo caso, l’angelo o il cielo non sarebbero prima di quel momento tra fieri e factus, di conseguenza non può esserci una creatura eterna[37].
Queste sono le ultime argomentazioni interessanti, che con tutte le lame logiche, tentano di affrontare la questione, anche in modo molto interessante come la terza modalità. Le ultime due sono già state scritte in precedenza, ma la questione centrale è che il dibattito non si sposta su quello che per Tommaso era il centro, ovvero la ratio entis divina. La logica ha bisogno di teoresi, e se nella teoresi non vengono date le definizioni adeguate agli oggetti, gli enti intenzionati, gli argomenti di cui si parla, la logica potrebbe andare liberamente da un verso e da un altro. L’ontologia è prima della logica, e questo Tommaso lo sa benissimo. In questo tema, la sua fermezza è all’ontologia, al discorso sull’essere di Dio e delle sue operazioni.
BIBLIOGRAFIA
Fonti principali
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Studi
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Avicennae Latinus , Metaphysica vel Prima Philosophia, Venetiis 1495
Bertola Ermenegildo, “Tommaso d’Aquino e il problema dell’eternità del mondo” in Rivista di filosofia Neo-Scolastica, Aprile-Dicembre 1974, Vol. 66, No. 2/4, Studi su San Tommaso d’Aquino e la fortuna del suo pensiero (Aprile-Dicembre 1974), pp. 312- 355
Marenbon, J., & Luscombe, D. (2003). Two medieval ideas: Eternity and hierarchy. In A. McGrade (Ed.), The Cambridge Companion to Medieval Philosophy (Cambridge Companions to Philosophy, pp. 51-72). Cambridge: Cambridge University Press. pp. 52
Matteo d’Acquasparta, Quaestiones de productione rerum, a cura di G. Gal, Quaracchi, Firenze
Niccolò Bonetti, Il problema dell’eternità del mondo in Matteo d’Acquasparta, Schola Salernitana – Annali, XXII (2017): 169 – 182
Platone, Timeo, tr. It. di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2016
Severin Boezio, La consolazione della filosofia, tr. It. di Fabio Troncarelli, Milano 2019
Tommaso d’Aquino, De Potentia, tr. It. di B. Mondin, ed. Edizioni studio Domenicano, Bologna 2003
Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, I. II, c. 15 et 16, in https://www.corpusthomisticum.org/scg1001.html
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, tr.it. di Ferdinando Fiorentino, Citta Nuova, Milano 2019
[1]Anassagora di Clazomene, Frammenti, in I presocratici, a cura di Giovanni Reale, DK 59, B 17 = SIMPL. Phys. 163, 18: “τὸ δὲ γίνεσθαι καὶ ἀπόλλυσθαι οὐκ ὀρθῶς νομίζουσιν οἱ Ἕλληνες˙ οὐδὲν γὰρ χρῆμα γινεται οὐδὲ ἀπόλλυται, ἀλλ’ ἀπὸ ἐόντων χρημάτων συμμίσγεταί τε καὶ διακρίνεται. καὶ οὕτως ἂν ὀρθῶς καλοῖεν τό τε γίνεσθαι συμμίσγεσθαι καὶ τὸ ἀπόλλυσθαι διακρίνεσθαι.”
[2] Ivi, pp 1347 – 1503
[3] Platone, Timeo, tr. It. di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2016, 27d-31c, 32b-34a
[4] Aristotele, De Generatione et Corruptione, tr. It. di Maurizio Migliori, ed. Bompiani, Milano 2013, pp. 213
[5] Ibidem
[6] Severin Boezio, La consolazione della filosofia, tr. It. di Fabio Troncarelli, Milano 2019, pp. 450
[7] Agostino D’Ippona, Confessioni, tr.it. di Carlo Carena, ed. Mondadori, Milano 2016, XI. XIII (16) pp. 323-324
[8] Luca Bianchi, L’errore di Aristotele. La polemica contro l’eternità del mondo nel XIII secolo., ed. La nuova Italia, Firenze 1984
[9] Marenbon, J., & Luscombe, D. (2003). Two medieval ideas: Eternity and hierarchy. In A. McGrade (Ed.), The Cambridge Companion to Medieval Philosophy (Cambridge Companions to Philosophy, pp. 51-72). Cambridge: Cambridge University Press. pp. 52
[10] Ivi, p. 55
[11] Dove spiega l’uguaglianza del Figlio al Padre nella semplicità, cfr. Alexander de Hales, Magistri Alexandri de Hales Glossa In Quatuor Libros Sententiarum Petri Lombardi,a cura di PP. Collegii S. Bonaventurae, vol. 1, pp. 99-112
[12] Nel primo volume Alessandro discute sulle tre forme di durata nella sostanza, sostenendo che le forme non sono identiche nella sostanza, anche se il nunc della sostanza, sia quello sensibile che eterno, è lo stesso, perché ogni nunc appartiene allo stans, ed è lo stesso per il nunc-aeternitas che come nunc-fluens
[13] Del resto, lo stesso Gilson in Elementi di Filosofia Cristiana, spiega come il concetto di creazione è un concetto innovatore nella storia del pensiero, ed è per questo che lo stesso Aristotele non avrebbe potuto arrivarci senza conoscere il cristianesimo, e i suoi fondamenti scritturistici. Nell’impianto di Aristotele, l’eternità del mondo (oseremmo dire del movimento ciclico) è fortemente coerente e fedele a sé stessa, non a caso Tommaso sarà costretto ad usare gli strumenti di Aristotele superandolo però, talvolta forzandolo e giustificandolo come anche nota Bianchi.
[14] E qui chi associa lo studio alle cause divine cristiane alle cause divine aristoteliche della Metafisica commette da un lato uno studio dei fondamenti del cristianesimo medievale (e principalmente tomista) dall’altro un’ucronia; sembra che qui Alessandro commetta un’ucronia, in quanto associa un parere di un filosofo precristiano a un filosofo cristiano.
[15] Alexandri de Hales, Summa theologica, ed. Quaracchi, 1924-1948 Lib.I, P. I, Inq.I, T.II, Q. IV, M. II
[16] Ermenegildo Bertola, “Tommaso d’Aquino e il problema dell’eternità del mondo” in Rivista di filosofia Neo-Scolastica, Aprile-Dicembre 1974, Vol. 66, No. 2/4, Studi su San Tommaso d’Aquino e la fortuna del suo pensiero (Aprile-Dicembre 1974), pp. 312- 355
[17] Bonaventura nei commenti alle Sentenze si sforza di chiarire che tempo e materia furono creati insieme prima della creazione, nella dottrina dei coaequeva (creazione di sostanze spirituali, sostanze corporee attive, sostanze corporee passive, misure). Cfr. Commentaria in quatuor libros Sententiarum magistri Petri Lombardi, Lib. II, d.II, p.I, a. II, q. III; vol 2
[18] Cfr. Bianchi, L’errore, cit. p. 30
[19] Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, I. II, c. 15 et 16, in https://www.corpusthomisticum.org/scg1001.html
[20] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, tr.it. di Ferdinando Fiorentino, Citta Nuova, Milano, I, q.46, a.1, ad. 3, p. 564
[21] Tommaso d’Aquino, De Potentia, tr. It. di B. Mondin, ed. Edizioni studio Domenicano, Bologna 2003, q. III, a.1
[22] Qui si intende che lo sforzo da fare è quello di riuscire a evincere l’atto ex parte Dei, e non è affatto cosa facile, perché spesso si confondono i piani, creaturale e divino.
[23] Avicennae , Metaphysica vel Prima Philosophia, Venetiis 1495, tract. IX, c. 1
[24]« Quoniam autem potestas primi potentis, sapientia primi sapientis et benigni- tà« sive voluntas (primi) volentis non sunt eidem acquisitae sed essentialiter insunt ei, opinati sunt inter philosophantes praecipui, scilicet Peripatetici, eiusdem operation nes aeternas esse...: quia igitur tota sufficienza operationum ipsius sunt tria haec quae nominavimus, nihil autem amplius exigitur ad hoc ut exeat artifex in opus nisi fortasse extrínseca adiutoria...; universalis autem artifex non eguit unquam iis adiutoriis quantum ad primas operát iones suas...: haec igitur via deducet eos ad hune finem ut cogat dicere omnia aeterna» (Guglielmi Parisiensis, De trinitate, c. 10, p. 14, Parisiis 1674) in Bertola, L’eternità, cit. p. 324
[25]S. Thomae De Aquino, De aeternitate mundi, in Sancti Thomae De Aquino Opera omnia iussu edita Leonis XIII P.M, Tomus XLII, Editori di San Tommaso, Roma, 1976, vv. 92-97
[26] Nella fisica teorica il concetto di tempo è vuoto senza eventi, lo stesso Einstein teorizzò lo spazio-tempo curvato in virtù delle onde gravitazionali. Il tempo quindi, al modo di Aristotele, senza movimenti, semplicemente non è.
[27] Qui per “atto metafisico” si intende la piena dimensione etimologica, Μετά τα φυσικά, oltre le cose fisiche.
[28] Matteo d’Acquasparta, Quaestiones de productione rerum, q. IX, a cura di G. Gal, Quaracchi, Firenze, 1956, pp. 206-207
[29] Questa posizione paradossalmente era sostenuta anche da Tommaso: dal 1269 al 1272 tenne sette dispute quodlibetali, ovvero tutte le disponibili in quegli anni. Nel 1270, ovvero nella seduta del Quodlibet III, viene posta a Tommaso una domanda: «Utrum mundum non esse aeternum, possit demonstrari» (Cfr. E. Bertola, Tommaso d’aquino e il problema dell’eternità del mondo, pp. 345) e Tommaso risponde in modo molto simile alla confutazione di Matteo, segno che un folto filone di teologi e filosofi, non aveva capito la posizione di Tommaso, che risponde considerando quasi empaticamente la posizione dell’ontologia ex post, parlando dopo infatti della volontà divina. Questo è il segno che anche molti anni dopo, la questione che pose Tommaso, non fu capita in modo eminente.
[30] Niccolò Bonetti, Il problema dell’eternità del mondo in Matteo d’Acquasparta, Schola Salernitana – Annali, XXII (2017): 169 – 182 : 170
[31] Matteo d’Acquasparta, Quaestiones cit. (nota 26)
[33] Bonetti, Il problema, cit. p. 171
[34] Ibidem
[35] Ivi, pp 180
[36] Matteo d’Acquasparta, Quaestiones (nota 26), pp 216-217; cfr. Niccolò Bonetti, Il problema dell’eternità del mondo in Matteo d’Acquasparta, Schola Salernitana – Annali, XXII (2017): 180
[37] Ibidem