Filosofia e attualità

Georges Canguilhem, «Le cerveau et la pensée»: ‘intelligenza artificiale’ tra senso e volontà

Quant à la philosophie, sa tâche propre n’est pas d’augmenter le rendement de la pensée, mais de lui rappeler le sens de son pouvoir.

(Georges Canguilhem, Le cerveau et la pensée)

    Il proposito di questo contributo è semplice e complesso a un tempo. Semplice perché persegue un obiettivo in sé modesto, ovvero provare a delineare a grandi linee in che misura la filosofia della tecnica di Georges Canguilhem possa fornire un contributo originale per comprendere il fenomeno dell’intelligenza artificiale. Complesso per diversi motivi, non da ultimo perché la questione non solo della natura e dei limiti della cosiddetta ‘intelligenza artificiale’, ma anche del posto che essa occupa nella nostra cultura, non è un problema che si lasci dividere. Al di sotto di una certa soglia di complessità non può in effetti essere trattato in maniera adeguata.

    L’edizione in corso dell’opera omnia presso l’editore J. Vrin, accanto alla costituzione del ricchissimo Fonds Canguilhem all’École normale supérieure, sta contribuendo non poco a restituire alla figura di Canguilhem l’eccezionalità che le spetta. Solo se si interpreta la sua opera come una filosofia a pieno titolo diventa comprensibile come questo specialista della storia e della filosofia delle scienze della vita abbia potuto esercitare un influsso decisivo sulla filosofia e sulla cultura francesi del dopoguerra. A parte le due tesi, l’Essai sur quelques données concernant le normal et le pathologique (1943) e La formation du concept de réflexe au xviie et xviiie siècle (1955), e inoltre il manuale scolastico scritto assieme a Camille Planet, Traité de logique et de morale (1939), il pensiero di Canguilhem è consegnato a densi saggi di storia della medicina e della biologia che non sempre facilitano il lavoro di ricostruzione. Inoltre, Canguilhem – coerentemente con un certo modo organico di intendere il pensare – è un autore che ama tornare sui propri passi: procede per così dire più per spirali e approfondimenti continui che per uno sviluppo lineare.

    La conferenza cui Canguilhem ha consegnato principalmente le sue considerazioni sull’intelligenza artificiale, «Le cerveau et la pensée», chiudeva un ciclo dedicato dalla Sorbona al tema «L’homme et le cerveau» che ebbe una grande eco di pubblico e nei media.1 Per la questione del parallelismo psico-fisiologico e della neurologia, una delle cruces della biologia assieme a quella dello sviluppo2, l’intervento di Canguilhem riprende ampiamente temi già trattati nella celebre conferenza del 1956 su «Qu’est-ce que la psychologie?» tenuta presso il Collège de philosophie di Jean Wahl, una non meno virulenta che documentatissima tirata contro le derive tecnocratiche insite della moderna psicologia.3 Un antecedente altrettanto fondamentale per la conferenza alla Sorbona del 76enne Canguilhem è inoltre la thèse ès lettres sulla formazione del concetto di riflesso nel XVII e XVII secolo. Nella tesi del 1955 Canguilhem mostra come il concetto di movimento riflesso non risalga, così come generalmente ammesso a seguito della sua meccanizzazione, alla biologia meccanica di Descartes, ma alla fisiologia di ispirazione vitalistica dell’inglese Thomas Willis (1621-1675) e del ceco Georg Prochaska (1749–1820). Canguilhem intende così mostrare in una prospettiva storica l’insufficienza di una spiegazione meccanicistica della vita animale che astragga dal significato vitale del movimento involontario e individui nel movimento riflesso un modello elementare per ridurre la questione biologica generale del rapporto dell'organismo con l'ambiente, vale a dire in definitiva l'integrazione della vita nella natura, a una questione puramente scientifica.4

    Più in generale il saggio di Canguilhem e dunque la sua concezione della tecnica e dell’intelligenza artificiale possono essere intesi solo se inseriti nel più vasto progetto di un’organologia generale. Sulla scorta di Henri Bergson Canguilhem intende l’invenzione meccanica come una funzione biologica, un aspetto dell’organizzazione della materia da parte della vita.5 Analogamente in La connaissance de la vie (1952) Canguilhem pensa un vitalismo radicale che si liberi dei limiti del vitalismo storico, ossia che non commetta l’errore di contrappore la vita alla materia come un regno dentro a un regno, ma che sappia comprendere la materia e lo sforzo meccanico per dominarla e conoscerla dentro la vita.6

    Si è molto discusso di una svolta nella filosofia di Canguilhem legata agli sviluppi della biologia molecolare e in particolare alla scoperta della struttura a doppia elica del DNA da parte di Watson e Crick.7 Così in due conferenze tenute a Bruxelles nel 1966, «Le concept et la vie», che comporranno significativamente la sezione dedicata alla Nouvelle connaissance de la vie della silloge di saggi che pubblica nel 1968,8 Canguilhem parla di una svolta radicale nelle scienze della vita che abbandonano il linguaggio della meccanica, della fisica e della chimica classiche per abbracciare quello della teoria dell’informazione.9 L’attività della vita – formazione di forme – non si risolve però affatto nell’informazione; è l’informazione piuttosto che deve essere compresa nella vita. Così in una recensione del 1970, peraltro estremamente favorevole, Canguilhem ricorda al biologo francese François Jacob, vincitore del premio Nobel per la medicina nel 1965 assieme a André Lwoff e Jacques Monod per i loro studi sul controllo genetico della sintesi degli enzimi, che la logica del vivente che Jacob descrive nel suo brillante saggio sulla storia della genetica deve essere intesa come un momento dello sforzo della vita per assimilare la materia ai propri fini.10

    Nella conferenza alla Sorbona del 1980 Canguilhem accosta alla questione del cervello come sede e istanza presunta del pensiero quella della cosiddetta ‘intelligenza artificiale’, entrambe campo d’elezione per la teoria dell’informazione. Per Canguilhem «cerveau conscient», «machine consciente», «cerveau artificiel» o «intelligence artificielle» rappresentano espressioni non pertinenti, abusi di linguaggio riconducibili all’uso non controllato di metafore nate in ambito scientifico come legittimi modelli euristici cui si vuole arbitrariamente attribuire un significato ontologico.

    Ma rispetto a cosa un ‘cervello cosciente’ o una ‘macchina pensante’ costituiscono solo delle metafore, per di più infelici, quando non semplicemente ideologiche?11 La sua peculiare philosophie biologique consente a Canguilhem di sviluppare una comprensione del tutto originale della tecnica e del problema dell’intelligenza artificiale. La concezione della macchina (cibernetica) di Canguilhem si contraddistingue in particolare, da un verso, per la radicale refrattarietà a ogni forma di riduzionismo, pure larvata, e d’altro verso per il non comune acume politico.

    Canguilhem rileva nella sua conferenza del 1980 che il senso, rispetto a cui cervello e macchine cibernetiche rappresentano soltanto una brutta copia, « échappe à toute réduction qui tente de le loger dans une configuration organique ou mécanique » (CP, 925). Con una formula valida per descrivere sia la posizione della tradizione della Naturphilosophie speculativa sia quella della filosofia della vita di Bergson, la vita – «formation de formes» e mediazione mai risolta tra fatto e valore – si situa infinitamente al di là sia del meccanico che del vitale.12 Con Canguilhem non hanno così facile gioco né la pretesa della philosophy of mind di tradizione anglosassone di pensare i rapporti tra mind, brain e machine unificando natura e cultura a partire da una natura meccanica, né il tentativo della cibernetica di spiegare il rapporto tra macchina e pensiero ricorrendo a modelli organicistici desunti dalla filosofia della vita.13

    Nel vasto panorama del naturalismo della filosofia analitica il monismo di John R. Searle rappresenta una delle versioni più mitigate.14 Accantonato il dualismo come del tutto privo di senso quando non disastroso nelle sue conseguenze, Searle crede di potere ovviare all’incapacità del materialismo di rendere conto in qualche maniera del fenomeno della vita cosciente nella sua originalità proponendo un «biological naturalism» che vorrebbe costituire una versione non riduzionistica del naturalismo di stampo atomistico.15 In luogo di identificare direttamente brain e mind, si tratterebbe di introdurre una differenza di prospettiva tra il piano oggettivo della terza persona proprio alle strutture neurobiologiche e il piano dell’esperienza dei fenomeni coscienti alla prima persona. L’unificazione verrebbe compiuta partendo dalla materia, vale a dire da un universo formato costitutivamente da particelle fisiche in campi di forza, senza che la semplice differenza di prospettiva possa intaccare il parallelismo di fatto tra livello psichico e livello fisico. Alla coscienza non è riconosciuta nessuna logica propria che possa sfuggire a una traduzione dei fenomeni psichici nei termini materiali di una teoria dell’informazione. Il senso è così dichiarato fondamentalmente superfluo; l’unico residuo della riduzione della semantica della mente alla sintassi di macchina e cervello sono le ombre qualitative dell’apparenza imputabili fondamentalmente alle illusioni del soggetto. Tra le molte possibili obiezioni alla sua pretesa terza via, Searle menziona anche il pericolo di ridurre la coscienza a poco più di un epifenomeno. Se i fenomeni psichici possono essere spiegati in termini puramente materiali senza presuppore nessuna forma di stato cosciente, allora ogni riferimento a un preteso parallelismo si riduce a una pura strategia di facciata: alla coscienza non viene più riconosciuto di fatto nessun ruolo. È Searle stesso a sollevare il problema, senza per il resto saperne offrire una soluzione soddisfacente: «If you could have the same behavior without consciousness, then consciousness would not be doing any work.»16 Non a caso l’obiezione della riduzione della coscienza a epifenomeno è quella cui Searle riserva meno spazio. Né c’è modo di intuire come dall’atomismo delle particelle fisiche possano essere generati i fenomeni sintetici della coscienza.

    Canguilhem unifica al contrario cultura e natura nell’orizzonte infinito della vita, vale a dire dell’attività di mediazione tra fatto e valore all’origine dell’esperienza e della storia.17 La vita non costituisce un regno a sé stante dentro il regno della natura, ma sono al contrario la natura, la materia non meno che la macchina, il cervello e la conoscenza delle forme costituite a essere espressione dell’attività costitutiva della vita come formation de formes.18 Sul piano filosofico, l’acume politico di Canguilhem si spiega tuttavia con il dualismo fenomenico e non già sostanziale della sua peculiare interpretazione della filosofia della vita: non una philosophie de la vie (Bergson), e neppure philosophie du vécu (Merleau-Ponty), ma una philosophie du vivant. Guardare alla vita dalla prospettiva del vivente, una volta che si è riconosciuto, contro la tentazione di ogni riduzionismo antropologico, che la vita è l’orizzonte infinito che sorge ogniqualvolta un essere vivente voglia affermare i propri valori e le proprie esigenze nell’ambiente che lo circonda, significa semplicemente che solo un passage à l’infini potrebbe garantire una conciliazione tra meccanico e organico, fatto e valore.19

    La riflessione sulla tecnica che percorre tutta l’opera di Canguilhem può essere compresa solo se si tiene presente la radice intrinsecamente speculativa della sua filosofia della vita e del vivente. Per un verso Canguilhem difende l’originalità della tecnica di fronte a qualsiasi tentativo di ridurla a scienza. Ne afferma ossia il carattere intrinsecamente creativo che impedisce di rendere conto del suo potere nei termini di una semplice applicazione di un sapere.20 Per un altro verso Canguilhem spiega perché l’incredibile sviluppo della tecnica nella modernità sia inestricabilmente legato alla rivoluzione scientifica moderna e al tramonto del finalismo aristotelico: un mondo privo di forme naturali è liberato alla sua illimitata manipolazione da parte dell’uomo.21

    Al contrario che in Francis Bacon in Canguilhem scientia et potentia pertanto non coincidunt.22 Ma Canguilhem non si pone solo di traverso rispetto alla cultura scientifica moderna; riforma anche dal suo interno la stessa tradizione della histoire des sciences francese, cui del resto aderisce. Così riprende il celebre motto con cui Auguste Comte riassumeva il programma politico e sociale del proprio positivismo, «science, d’où prévoyance; prévoyance, d’où action», per riformularlo nei termini di «savoir pour prévoir à fin de pouvoir» e, soprattutto, rimetterlo in causa nei suoi fondamenti.23 A una sintesi tra tecnica e scienza erano però fondamentalmente improntati anche la filosofia della scienza di Léon Brunschvicg, che promuove la fisica matematica a modello di riferimento per lo spirito scientifico moderno, e di Gaston Bachelard e del suo rationalisme appliqué, vale a dire la concezione della scienza di due fondamentali esponenti dell’epistemologia storica contemporanea, che Canguilhem con la sua posizione de facto contesta.24 Fondamentalmente Canguilhem non crede – diversamente da Bachelard – nella possibilità di una psicanalisi oggettiva che liberi la scienza dai residui di immaginazione e storia, anche se in seguito non rinuncerà – come visto – ad appellarsi al concetto di ideologia scientifica. Non c’è tecnica che possa essere affrancata per tramite della scienza dalla sua compromissione con il valore; né d’altra parte scienza che possa dirsi scevra di un momento tecnico che associ il suo sapere a un potere.

    Emblematico in questo senso è il principio del fisiologo francese François Broussais (1772–1838), secondo cui tra fenomeni normali e fenomeni patologici esisterebbe una differenza solo quantitativa e non di essenza. Nella sua tesi di medicina, l’Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique (1943)25, Canguilhem pone il principio di Broussais al centro della fondazione dell’antropologia e della sociologia moderne operata da Auguste Comte. Si tratta, infatti, di un principio di nosologia cui deve essere attribuita una valenza universale, e questo pure in una dimensione politica.26 Il principio di Broussais vale per le scienze organiche tanto quanto per le scienze meccaniche la legge della gravitazione di Newton. Garantisce infatti la riduzione quantitativa delle variazioni qualitative e in questo modo il principio fondante di una scienza del valore. È così che dalla biologia può essere trasposto alla psicologia e da questa all’antropologia e alla sociologia, come scienze finali e coronamento dell’enciclopedia delle scienze positive, e divenire puoi sul pianto tecnico-politico il principio di origine biologica di una normalizzazione sociale e antropologica.27

    Rifiutare la possibilità di unificare le leggi della vita naturale e della vita patologica, sulla stregua di quanto avvenuto nella fisica con il superamento attraverso la meccanica moderna di Galileo e Descartes della distinzione tra movimento naturale e movimento violento,28 significa revocare in dubbio la possibilità di fondare una tecno-logia moderna che in virtù di un’avvenuta mediazione tra scienza e tecnica, fatti e valori, possa considerarsi autonoma.29 Non c’è scienza del patologico, né possibilità di unificare fisiologia e patologia, vale a dire la scienza del funzionamento naturale dell’organismo e la tecnica del ristabilimento della sua capacità di stabilire un equilibrio tra norme vitali e ambiente. Così la medicina non costituirà mai propriamente una scienza, anche se come arte di ristabilire la normatività dell’organismo la medicina si avvale dei risultati di tutte le scienze;30 più in generale, scienza e tecnica non potranno mai per principio emanciparsi da un’antropologia come sapere di valori storici e culturali e infine da una filosofia come lo sforzo di coordinare tra di loro questi stessi valori in maniera unitaria.31

    Comprendere scienza e tecnica a partire dalla filosofia come compimento di un sapere dei valori significa per Canguilhem innanzitutto non considerarle di per sé ma inserendole nell’orizzonte di senso del progetto che le istaura.32 Nella celebre conferenza sullo statuto della psicologia al Collège de philosophie di Jean Wahl, al tentativo di Daniel Lagache di unificare psicologia sperimentale (di indirizzo naturalistico) e psicologia clinica (di indirizzo umanistico) in base al loro oggetto comune, il comportamento, così che la psicologia sarebbe da considerare come una «théorie générale de la conduite», Canguilhem oppone un’indagine storica che permetta di ricostituire il senso di una coscienza teorica.33 Analogamente, nella conferenza alla Sorbona del 1980 Canguilhem afferma la necessità, prima di esprimersi in qualsiasi modo sui rapporti tra cervello e pensiero, di inserire la questione nella storia della cultura (cfr. CP, p. 897).34 Canguilhem prende innanzi tutto spunto dalla sorpresa per l’interesse pubblico suscitato dal ciclo di conferenze chiuso dal suo intervento. Appena annunciato, infatti, «L’homme et son cerveau», il ciclo di Cours publics en Sorbonne organizzato sotto l’egida del Mouvement universel pour la responsabilité scientifique (MURS), di cui lo stesso Canguilhem era stato uno dei fondatori, era stato ampiamente ripreso dalla stampa, con interviste e numeri speciali dedicati al tema del cervello umano, tra macchine pensanti e drugs for the mind (cfr. CP, p. 896, n. 2). Nei primi due paragrafi della conferenza, pronunciati alla Sorbona, ma rimasti inediti, Canguilhem chiede come si spieghi questo successo, considerato che gli specialisti dell’argomento ribadiscono in maniera unanime quanto poco la scienza sia finora riuscita a comprendere il funzionamento del cervello e del sistema nervoso.35

    Se l’enorme interesse mediatico suscitato non si giustifica dunque da un punto di vista meramente teoretico, una spiegazione dovrà essere cercata piuttosto sul piano tecnico e politico in senso stretto. Canguilhem osserva come siano oramai molti a interrogarsi su certi metodi di psicoterapia comportamentale o sui bilanci di certe società di informatica. In proposito ricorda, al di qua e al di là della cortina di ferro, il caso da un canto dell’internamento psichiatrico a Mosca del matematico e militante per i diritti umani di origine ucraina Leonid Plyushch, che all’epoca suscitò grande clamore, e d’altro canto quello di IBM, di cui si limita ad alludere al significato dell’acronimo senza commentare oltre: International Business Machines Corporation. Soprattutto, però, Canguilhem rileva – riportando la questione al livello della riflessione sui rischi di una deriva tecnocratica dei saperi scientifici che è al cuore della sua opera– come chi guarda con preoccupazione a questi fenomeni vi abbia potuto discernere «la virtualité d’une extension programmée de techniques, visant, en dernière analyse, à la normalisation de la pensée» (CP, p. 897).

    «Tecniche in ultima analisi finalizzate alla normalizzazione del pensiero»: ma in che senso una storia della scienza del cervello e del suo prolungamento nel modo di intendere le cosiddette ‘macchine pensanti’ contemporanee, che a ragione possono essere viste come un tentativo di mimare grazie all’elettronica del XIX secolo le proprietà già riconosciute al cervello dalla neurobiologia del secolo precedente, ne può fare emergere la natura intrinsecamente strumentale? Canguilhem ricorda innanzi tutto brevemente che se oggi pare essere di notorietà pubblica che il cervello è l’organo del pensiero, nell’antichità la questione è stata a lungo tutt’altro che data per scontata. Così Aristotele, ne Le parti degli animali, afferma che la funzione del cervello, antagonista di quella del cuore, deputato invece alla produzione del calore che permette di espletare le funzioni dell’anima, ossia nutrire e muovere, è raffreddare il corpo dell’animale.36 È stato invece Ippocrate a insegnare che il cervello è la sede delle sensazioni, l’organo dei movimenti e dei giudizi; questa dottrina, ripresa da Platone nel Timeo,37 si è poi imposta a partire dal II secolo d.C. nella cultura occidentale grazie a Galeno, che si è contraddistinto anche per i primi tentativi di darle una base sperimentale (cfr. CP, p. 897 s.).38

    Il problema dei rapporti tra cervello e pensiero ha assunto dunque dalle sue origini, e conservato nel corso dei secoli, la forma di un’interrogazione sulla sede dell’anima, suscitando a partire dalla filosofia cartesiana una filiazione di teorie e di polemiche di cui noi siamo gli eredi. In particolare la moderna psico-fisiologia e psico-patologia come psicologia o scienza naturale del comportamento ha la sua origine in un fraintendimento fondamentale della filosofia di Descartes. La lettura in termini meramente fisiologici (o naturalistici) della questione dell’unione dell’anima al corpo ha impedito di comprendere che Descartes insegnava unicamente che un’anima per sua natura indivisibile, e dunque irriducibile a qualsiasi fisiologia, veniva unita di fatto, ossia senza che il modo dell’unione fosse accessibile alla ragione umana, al corpo nella sua interezza per mezzo di un organo unico e per così dire fisicamente puntuale: la ghiandola pineale. Non si tratta dunque di unire un pensiero diviso a un organo federale; così la funzione della ghiandola pineale non si situa all’interno della fisiologia ma per definizione la trascende: è una funzione meta-fisiologica. Da questa confusione discende la ricerca successiva di un organo del pensiero: «Ceux qui, par la suite, n’ont pas compris que la fonction de la glande pinéale était une fonction métaphysiologique, ont critiqué Descartes et cherché ailleurs dans le cerveau le siège du sensorium commune» (CP, p. 898).39

    La ‘scienza del cervello’ inizia propriamente con l’Anatomie et physiologie du système nerveux en général et du cerveau en particulier, pubblicata nel 1810 da Franz Joseph Gall. La frenologia rappresenta, tuttavia, in virtù della sua ingenuità e delle sue pretese, piuttosto un ostacolo iniziale che un compimento della moderna neurologia. Il punto di forza di Gall è l’esclusività riconosciuta all’encefalo, e in particolare ai due emisferi, come sede di tutte le facoltà intellettuali e morali. La frenologia si fonda al contrario semplicemente sul presupposto ingenuo che esista una corrispondenza tra contenuto e contenitore: tra la configurazione e il funzionamento degli emisferi e la forma del cranio. Il carattere rudimentale dell’impianto teorico non ha però impedito a Gall e al collega Spurzheim, che avrebbe poi importato la frenologia agli Stati Uniti con un successo che è stato paragonato a quello avuto più tardi dalla psicanalisi, di rivendicare la portata pratica della loro teoria nell’ambito della pedagogia, del depistaggio delle attitudini (l’attuale orientamento professionale), della medicina e della polizia (prevenzione della delinquenza), senza dimenticare l’influsso capitale avuto dalla frenologia sulla psicopatologia.

    L’età dell’oro delle localizzazioni cerebrali inizierà soltanto dopo la seconda metà del XIX secolo, quando si compirà l’auspicio formulato già nel 1836 da un medico dell’ospizio di Bicêtre, Louis Francisque Lélut, che il sistema fisiologico-psicologico della neurologia sperimentale fosse completato attraverso il trattamento del modo di azione del cervello nella produzione dei fatti intellettuali morali. Sarebbe così diventato possibile «expliquer le mécanisme de la pensée par l’hypothèse moderne de l’électrification ou de l’électromagnétisation de la masse encéphalique».40 L’esplorazione delle funzioni cerebrali attraverso la corrente elettrica come nuovo strumento di analisi privilegiato permise di stilare nella seconda metà del XIX secolo la prima carta topografica del cervello. Anche in questo caso l’applicazione pratica delle più recenti conoscenze topografiche non si fece attendere: il medico svizzero Gottlieb Burckhardt ne propose a partire dal 1891 la prima conversione in tecnica di psicochirurgia. A Burckhardt si devono in effetti i primi esperimenti, il cui successo fu del resto assai contenuto, di quella che da allora si chiama la ‘lobotomia’. Rilevando – nuovamente – la rapidità con la quale la presunta conoscenza delle funzioni del cervello venne investita in una tecnica di intervento, Canguilhem osserva che è come se «la démarche théorique était congénitalement suscitée par un intérêt de pratique» (CP, p. 903).

    Canguilhem conclude la sua breve storia della questione dei rapporti tra cervello e pensiero – non senza avere prima ricordato, fatta eccezione per Pierre Janet e la sua psicologia de l’homme entier, la sudditanza della psicologia dalla fisiologia – chiedendo come l’io penso cartesiano possa essere giunto a essere trattato, dal frenologo di inizio Ottocento prima e dal fisiologo di oggi poi, come una cosa (Ça), un cervello.41 Pascal è famoso per essere stato l’inventore della pascaline, a lungo ritenuta la prima ‘macchina d’aritmetica’, con la quale era possibile addizionare e sottrarre numeri fino a 12 cifre; al filosofo francese si deve però anche la metafora dell’uomo come canna pensante, il più piccolo capriccio dell’universo: un po’ di vapore, una goccia d’acqua bastano per schiacciarla, tuttavia lei sarà sempre più nobile dell’universo perché sa di morire, e tutta la sua dignità risiede in questa sua consapevolezza. A proposito della macchina per calcolare Pascal ha così potuto scrivere: «La machine d’arithmétique fait des effets qui approchent plus de la pensée que tout ce que font les animaux; mais elle ne fait rien qui puisse faire dire qu’elle a de la volonté comme les animaux.»42

    Eccoci giunti al computer, osserva Canguilhem (cfr. CP 911), i cui effetti si avvicinano ancor più al pensiero di quanto non facesse la macchina di Pascal. La metafora oramai frusta del cervello-ordinatore è giustificata nella misura in cui per pensiero si intendono delle operazioni logiche, il calcolo, il ragionamento. La ragione, la ratio, deriva in questo senso da reor, calcolare. Così, anche storicamente, il computer può essere interpretato come un tentativo di mimare, grazie all’elettronica del XX secolo, le proprietà già riconosciute al cervello dalla neurofisiologia del XIX secolo: ricezione di stimoli, trasmissione e deviazione di segnali, elaborazione di risposte, registrazione di operazioni. Lo schema funzionale applicato al cervello non viene alterato in maniera fondamentale dalla sua trasposizione all’attuale linguaggio dell’informatica.43

    Gli effetti della macchina d’aritmetica, e lo stesso calcolo del cervello di Pascal di cui la macchina è un effetto, non spiegano tuttavia la volontà di costruire dell’uomo inventore delle macchine come lo stesso Pascal (cfr. CP, p. 912). Come osserva Canguilhem, una cosa è calcolare e trattare dei dati secondo delle istruzioni, un’altra inventare un teorema. L’invenzione presuppone che si trascenda la logica finita di semplici relazioni determinate tra elementi discreti in presenza, eccedendo l’attuale verso il possibile di un errore che non è semplice negatività logica ma elemento di un nuovo codice in divenire, nihil privativum come opposizione reale e non semplicemente nihil negativum come contraddizione logica: «Pas d’invention sans conscience d’un vide logique, sans tension vers un possible, sans risque de se tromper» (CP, p. 915). La macchina pensante non può rendere conto del finalismo di un senso che sempre già le sfugge e la trascende, come d’altra parte il senso eccede per definizione e in virtù della sua stessa struttura infinita anche il tentativo di integrare alle macchine una dimensione riflessiva attraverso l’organicismo finito della cibernetica. Siamo al cuore della philosophie du vivant di Canguilhem e della sua denuncia dello strumentalismo profondo della tecnocrazia delle moderne democrazie di massa come società di normalizzazione.

    «Il n’y a pas d’ordinateur à l’origine absolue de l’ordinateur» (CP, p. 912). Così come il cogito di Descartes non poteva essere ridotto con Gassendi e la fisica aristotelica a una riflessione spaziale in uno specchio, quando lo spirito è all’origine sia dell’occhio che dello specchio e del riflesso,44 la macchina non ha modo di riflettere sé stessa, o come Gassendi obietta a Descartes senza rendere conto della natura spirituale dell’intuizione da questi postulata, «rien n’agit sur soi-même» 45: il senso del computer eccede sempre già il computer. La cibernetica, con la sua pretesa di chiarire il pensiero a partire da macchine pensanti, non meno che la (fisio)psicologia che ambisce a fondare una teoria generale del comportamento umano sull’osservazione del funzionamento del cervello ripetono il naturalismo fatale di una modernità che pretende di potersi fondare sull’emancipazione della scienza e della tecnica da ogni sapere riflessivo del senso. Come dice Husserl a proposito dell’entrata in scena della psicologia fin dai tempi di Aristotele, si tratta di «une calamité permanente»46: una scienza si vuole oggettiva e si situa tra le altre scienze oggettive con la pretesa di istruirle sulle funzioni intellettuali che permettono loro di essere le scienze che sono (cfr. CP, p. 931). L’empirico viene così promosso a fondamentale, l’infinita riflessività del pensiero viene ridotta alla caricatura di una sintesi finita tra piano oggettivo e piano soggettivo. Così come aveva subito saputo riconoscere l’esaurimento contemporaneo del cogito nella denuncia da parte di Michel Foucault della riduzione capziosa del je pense cartesiano alla coscienza di un homme concret da parte dell’antropologismo all’origine delle tecnologie di normalizzazione delle scienze umane,47 Canguilhem denuncia nella sua conferenza del 1980 l’assurdità delle pretese da parte delle neuroscienze e della cibernetica di trattare il cogito in termini fisici. Il sapere non è allora più strumentale in quanto piegato a un interesse estrinseco, in quanto alla ricerca di una immediata applicazione tecnica, ma strutturalmente, perché internamente organizzato secondo un fine particolare. La scienza è intrinsecamente tecnica nella sua stessa organizzazione finita: la boucle est bouclée: scientia et potentia coincidunt.48

    Canguilhem chiede però anche che cosa significhi pensare, non nel senso riduttivo di calcolare, ma secondo quel potere dell’essere vivente che Pascal chiama volontà e di cui l’autore delle Pensées nega alla macchina la capacità di simulazione. Questa stessa restrizione, osserva Canguilhem, apparirà riduttiva a chi vorrà opporre a Pascal i robot di oggi, automi cibernetici come le ‘tartarughe’ del neurologo inglese William Grey Walter oppure la ‘volpe elettronica’ dell’esperto di cibernetica francese Albert Ducrocq, tutte macchine cui si attribuisce volentieri il senso dell’opportunità, l’adattamento alle circostanze e la capacità di apprendimento (cfr. CP, p. 919). Sembrerà così paradossale che lo psicologo sperimentale Henri Piéron abbia potuto ispirarsi a Pascal per tradurre con la parola francese comportement il concetto inglese di behaviour, adottato negli Stati Uniti a inizio del XX secolo da Thorndike, Jennings e Watson per designare i comportamenti animali polarizzati come fenomeni biologici di adattamento all’ambiente.

    Notoriamente lo studio oggettivo dei comportamenti si è avvalso di tecniche di condizionamento mediante dispositivi di apprendimento. Sia il sovietico Pavlov che l’americano Skinner49 si caratterizzano per lo zoomorfismo in virtù del quale credono di potere applicare le conclusioni cui giungono nei loro esperimenti sugli animali all’uomo; entrambi identificano l’addestramento all’apprendimento, il mondo storico-culturale dell’uomo a un semplice ambiente naturale, finendo così per scivolare pericolosamente dal concetto di educazione a quello di manipolazione (cfr. CP, p. 921).

    L’ambiente sociale umano si differenzia tuttavia in maniera sostanziale da quello animale in quanto rappresenta un sistema di significati. A questo proposito Canguilhem evoca la riproposta, nella sua versione biologica, del dibattito tra empirismo e innatismo da parte di Noam Chomsky e Jean Piaget.50 Nel contempo ricorda a «ceux qui cherchent dans la physiologie les fondements de la pédagogie et de la politique» (CP, p. 925), oltre che della parola, che il linguaggio umano è fondamentalmente una funzione semantica di cui le spiegazioni fisicaliste non possono rendere conto.

    Parler c’est signifier, donner à entendre, parce que penser c’est vivre dans le sens. Le sens n’est pas relation entre …, il est relation à … C’est pourquoi il échappe à toute réduction qui tente de le loger dans une configuration organique ou mécanique. (CP, p. 925)

    Il senso eccede, per la sua stessa natura, ogni sistema finito di relazioni in presenza. Così le cosiddette intelligenze artificiali, non meno che il cervello come sistema di commutatori di impulsi elettrici dal e verso il sistema motorio, costituiscono delle macchine per produrre relazioni tra le informazioni che vengono loro fornite. Non sono, tuttavia, in relazione a ciò che il loro utilizzatore si ripropone a partire dalle relazioni da esse generano per lui. Proprio perché il senso è una relazione a, l’uomo lo può distorcere a nome di un fine che trascende ogni sua espressione positiva: può giocare con esso, alterarlo, sviarlo, fingerlo, mentire, tendere delle trappole, sbagliarsi. Una macchina al contrario non è capace di macchinazioni, non può né sbagliarsi né indurre in errore.

    La relazione di senso nel linguaggio, d’altra parte, non è la replica immateriale di relazioni fisiche tra elementi o sistemi di elementi nel cervello dell’interlocutore (oppure nella macchina per elaborare informazioni). Inversamente, il senso delle parole proferite nella relazione a … non equivale alla produzione di una configurazione fisica nel cervello dell’interlocutore (o nel processore del manufatto cibernetico). Più in generale, la relazione tra cervello (elettronico), pensiero e mondo non può essere concepita come la riproduzione mentale (o interiore) degli effetti fisici prodotti nel cervello dopo che vi è stato introdotto il mondo (esteriore) per la via dei canali sensoriali (cfr. CP, p. 926 s.).

    Ritornando al punto di arrivo della ricostruzione storica con cui la conferenza si apriva, Canguilhem rivendica l’irriducibilità di un Je a un Çà, di un soggetto a un cervello e a un mondo, di cui il Je costituisce il soggetto metafisico (non ontologico), ossia – come dice Canguilhem riferendosi a Wittgenstein – un «pré-supposé de son existence» («eine Vorassetzung ihrer Existenz», cfr. Tagebücher, 2.8.1916), o meglio ancora «la limite – non pas une partie du monde» («die Grenze – nicht ein Teil der Welt», Tractatus, 5.641).

    Una soggettività senza interiorità, così come la vuole pensare Canguilhem, sulla scorta non da ultimo della fenomenologia dell’ultimo Merleau-Ponty, sarà una soggettività che non potrà mai coincidere con il mondo in cui è già sempre immersa, e che dunque sarà sempre in un rapporto di sur-veillance e non di distanziato sur-vol con esso. Così Canguilhem immagina nel finale della sua conferenza, ponendosi di fatto al di qua della contrapposizione tra struttura e soggetto che ha caratterizzato in larga misura la filosofia francese del secondo dopoguerra, un’impercettibile faglia cartesiana nella filosofia di Spinoza (cfr. CP, p. 932). Può infatti succedere che, ed è lo stesso Spinoza a ricordarlo nell’ultimo scolio dell’Etica, anche se la vera libertà consisterebbe in una perfetta coincidenza dell’ordine e della connessione degli affetti del corpo con l’ordine e la connessione dei pensieri dell’anima, il saggio sia chiamato a decidere del proprio comportamento in maniera istantanea, reagendo ai pericoli della vita con «la presenza e la forza dell’anima».51 Così Spinoza, secondo un aneddoto la cui veridicità non è per il resto ammessa da tutti i suoi biografi, di fronte all’assassinio da parte della fazione orangista del suo amico Jan de Witt, con cui condivideva le convinzioni repubblicane, avrebbe potuto essere distolto solo con la forza dal proposito di uscire di casa per apporre sui muri de L’Aia un cartello su cui aveva scritto: Ultimi barbarorum, ossia i più recenti, gli ultimi in data.

    Riprendendo l’immagine di una faglia cartesiana nella filosofia di Spinoza, sulla scorta non da ultimo del concetto di anticipazione dell’unità infinità della vita – a costo spesso della stessa vita organica, come nel caso dei sodali di Canguilhem, Simone Weil e Jean Cavaillès – che Canguilhem elabora alla luce della morale par provision e della générosité cartesiane, si potrebbe pensare di interpretare l’idea di un soggetto che vive nel senso al di là di ogni senso concreto, sempre già nel mondo senza mai coincidervi, mettendo a frutto la mediazione tra anima e corpo proposta da Descartes nella sesta meditazione, testo del resto chiave per Canguilhem che poteva leggervi la determinazione metafisica dello statuto epistemologico della medicina.52 La soglia dell’irriducibilità del senso alla regolazione elettronica e neurologica di informazioni risulterebbe così proiettabile su almeno tre fronti: il fronte esistenziale delle corporalità esperita e delle passioni come unione oscura tra anima e corpo; il fronte trascendente dell’iperbole e anticipazione che sole permettono di integrare un senso che per sua natura rifugge da ogni sintesi finita; il fronte storico-culturale della mediazione simbolica tra i primi due, esistenza e senso, attraverso la comunione mediante il linguaggio e altri cerimoniali della metafora. Così come, nella tesi in medicina, il confronto con i concetti di normale e di patologico aveva spinto Canguilhem a ricollocare scienza e tecnica nel loro orizzonte di senso, in un’antropologia e in una filosofia come la coordinazione dei valori di quest’ultima, le moderne tecnologie di riproduzione e di osservazione del pensiero, cibernetica e neuroscienze, si vedono così rinviate a un orizzonte di senso – esistenziale, trascendente nella sua immanenza, storico – assolutamente al di fuori della loro portata.

     

     

    1 Cfr. Georges Canguilhem, «Le cerveau et la pensée» (1980), in: Œuvres complètes, vol. V, a c. di C. Limoges, Parigi 2018, pp. 895–932 (d’ora in avanti abbreviato CP; trad. it. in: Georges Canguilhem, Scritti filosofici, a. c. di A. Cavazzini, Milano 2004, pp. 35–56).

    2 Cfr. CP 896, n. 2, dove il curatore riporta due paragrafi iniziali della conferenza tenuta da Canguilhem non ripresi nella versione destinata alla pubblicazione.

    3 Cfr. Georges Canguilhem, «Qu’est-ce que la psychologie?» (1956), in: Œuvres complètes, vol. III, a c. di C. Limoges, Parigi 2019, pp. 747–772.

    4 Cfr. Georges Canguilhem, La formation du concept de réflexe au xviie siècle et au xviiie siècle, Parigi 21977 (1955).

    5 Cfr. Georges Canguilhem, «Machine et organisme», in: La connaissance de la vie, Parigi 21965 (1952), 101–127 (trad. it.: La conoscenza della vita, Bologna 1976). In proposito si veda anche la tesi di medicina di Canguilhem, l’Essai su quelques problèmes concernant le normal et le pathologique (1943), ora in: Le normal et le pathologique, Parigi 1966, p. 80: «Toute technique humaine, y compris celle de la vie, est inscrite dans la vie, c’est-à-dire dans une activité d’information et d’assimilation de la matière. Ce n’est pas parce que la technique humaine est normative que la technique vitale est jugée telle par comparaison. C’est parce que la vie est activité d’information et d’assimilation qu’elle est la racine de toute activité technique.» Su filosofia della vita e tecnica cfr. anche Ernst Oldemeyer, Leben & Technik. Lebensphilosophische Positionen von Nietzsche zu Plessner, Berlino 2007.

    6 Georges Canguilhem, «Aspects du vitalisme» (1946–1947), in: La connaissance de la vie, op. cit., 83–100, in part. 93.

    7 Cfr. Michel Morange, «Retour sur le normal et le pathologique», in: A. Fagot-Largeault, Cl. Debru, M. Morange (a c. di), Philosophie et médecine. En hommage à Georges Canguilhem, Parigi 2008, 155–69; inoltre ora la sintesi della questione proposta da Camille Limoges, «Introduction. Épistémologie historique et histoire épistémologique des sciences chez Georges Canguilhem», in: Georges Canguilhem, Œuvres complètes, vol. III, op. cit., pp. 7–123, in part. pp. 78 ss.

    8 Vedi Georges Canguilhem, «La nouvelle connaissance de la vie. Le concept et la vie» (1966), in: Œuvres complètes, vol. III, op. cit., pp. 711–746.

    9 Cfr. ibid., p. 740.

    10 Cfr. Georges Canguilhem, «Logique du vivant et histoire de la biologie», prima in: Sciences, 71 (1971), 20–28; ora in: Œuvres complêtes, vol. V, op. cit., 417–432, in part. 431 s.; si veda inoltre anche CP 914, dove Canguilhem riconosce la reticenza di alcuni biologisti come Jacob a «déduire la conscience d’une science du cerveau», ma nel contempo pone anche la questione de iure della pertinenza del discorso logico per definire l’ambito della coscienza e del pensiero. Chiede così: «Mais la question est-elle bien de logique?»

    11 Per l’uso del concetto di «ideologia scientifica» si veda: Georges Canguilhem, «Qu’est-ce qu’une idéologie scientifique», (1970), in: Idem, Idéologie et rationalité dans l’histoire des sciences de la vie, Parigi 21988 (1977), 33–45, ora in: Œuvres complètes, vol. III, op. cit., pp. 869–882. Quanto al discorso sull’intelligenza artificiale Canguilhem non risparmia l’ironia a proposito della macchina di propaganda di chi promuove le macchine in maniera acritica: «Un modèle de recherche scientifique a été converti en machine de propagande idéologique à deux fins: prévenir ou désarmer l’opposition à l’envahissement d’un moyen de régulation automatisée des rapports sociaux; dissimuler la présence de décideurs derrière l’anonymat de la machine» (CP 915).

    12 Cfr. Marie-Luise Heuser, «Schellings Organismusbegriff und seine Kritik des Mechanismus und Vitalismus», in: Allgemeine Zeitschrift für Philosophie 14 [1989], 17–36; Ugo Balzaretti, «Vie et mort de l´homme. Anthropologie entre Michel Foucault et Georges Canguilhem», in: Thomas Ebke, Caterina Zanfi (a c. di), Das Leben im Menschen oder der Mensch im Leben? Deutsch-Französische Genealogien zwischen Anthropologie und Anti-Humanismus, Potsdam 2017, pp. 105–21, in part. p. 106 s.; Gregorio De Marchi, «Schelling und Canguilhem: Einleitung zu einem Dialog», in: Lo Sguardo. Rivista di filosofia, ott.-nov. 2020 (in corso di pubblicazione).

    13 Il tentativo più discusso in tal senso è notoriamente quello dei biologi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela attorno al concetto di autopoiesi. Canguilhem ha esercitato d’altro canto un grande influsso sulla concezione organicistica della macchina e dell’oggetto tecnico da parte di Gilbert Simondon, di cui ha seguito da presso la tesi Du mode d’existence des objets techniques (Parigi 1958).

    ella macchina e dell’oggetto tecnico.

    14 Cfr. Mario De Caro, David Macarthur (a c. di), Naturalism and Normativity, New York 2010.

    15 Cfr. John R. Searle, Mind. A brief Introduction, New York / Oxford 2004, p. 79: «I call my view “biological naturalism”, because it provides a naturalistic solution to the traditional “mind-body problem”, one that emphasizes the biological character of mental states, and avoids both materialism and dualism.» Sulla questione dell’intelligenza artificiale già anche: John R. Searle, «Minds, Brains and Programs», prima in: Behavioral and Brain Sciences, 3 (1980), 417 – 424, ora in: Timothy O’Connors, David Robb, Philosophy of Mind. Contemporary Readings, London 2003, 332–352.

    16 Cfr. Searle, Mind, op. cit., 71

    17 Cfr. Georges Canguilhem, «Milieu et normes de l’homme au travail. À propos d’un livre recent de Georges Friedmann» (1946), in: Œuvres complètes, vol. IV, a c. di C. Limoges, Parigi 2015, 291–306, in part. p. 306: «La vie n’est, à vrai dire, selon nous, que la médiation entre le mécanique et la valeur; c’est delle que se dégagent par abstraction, comme termes d’un conflit toujours ouvert, et par la même générateur de toute expérience et de toute histoire, le mécanisme et la valeur». Sul problema dei rapporti tra macchine, cultura e vita si veda anche la seguente affermazione che mostra quanto sia lontana da Canguilhem qualsiasi concessione al biologismo: «Du point de vue philosophique, il importe moins d’expliquer la machine que de la comprendre. Et la comprendre, c’est l’inscrire dans l’histoire humaine en inscrivant l’histoire humaine dans la vie, sans méconnaitre toutefois l’apparition avec l’homme d’une culture irréductible a la simple nature» (ibid. 315). Il dualismo fenomenico di Canguilhem deve in particolare essere messo in rapporto con quello sviluppato dal collega e sodale Jean Hyppolite sulla scorta di Hegel (cfr. Georges Canguilhem, «Hegel en France» (1948–49), in: Œuvres complètes, vol. IV, op. cit., pp. 321–341, in part. p. 336; Jean Hyppolite, Genèse et structure de la ‘Phénoménologie de l’esprit’ de Hegel, Parigi 1946, vol. II, p. 581) e, per quanto riguarda più nello specifico la tradizione dell’epistemologia storica francese il dualismo tra atto e contenuti della coscienza sostenuto da Jean Cavaillès contro il positivismo logico e la fenomenologia di Husserl (cfr. : Jean Cavaillès, Sur la logique et la théorie de la science, Parigi 21974 (1946), pp. 65 s.).

    18 Si veda in proposito la dichiarazione programmatica nello scritto introduttivo alla raccolta di saggi dedicati alla conoscenza della vita: «La vie est formation de formes, la connaissance est analyse des matières informées» (Georges Canguilhem, «La pensée et le vivant», in: La connaissance de la vie, op. cit., pp. 15–22, in part. p. 19.

    19 Canguilhem afferma ad esempio a proposito di Descartes in: «Machine et organisme», op. cit., p. 113: «Et, de même qu’un polygone régulier est inscrit dans un cercle et que pour conclure de l’un a l’autre il faut le passage à l’infini, de même l’artifice mécanique est inscrit dans la vie et pour conclure de l’un a l’autre il faut le passage à l’infini, c’est-à-dire Dieu.»

    20 Cfr. Georges Canguilhem, «Descartes et la technique» (1937), in: Œuvres complètes, vol. I, a c. di J.-F. Braunstein, M. Cammelli, X. Roth, Parigi 2011, pp. 490–498; Idem, «Activité technique et création» (1938), in: Œuvres complètes, vol. I, op. cit., pp. 409–509; Idem, «Réflexions sur la création artistique selon Alain» (1952), in: Œuvres complètes, vol. IV, op. cit., pp. 415–435, in part. pp. 419–421 e 424 s.

    21 Cfr. Georges Canguilhem, «Machine et organisme», op. cit., p. 111: «La mécanisation de la vie, du point de vue théorique, et l’utilisation technique de l’animal sont inséparables. L’homme ne peut se rendre maître et possesseur de la nature que s’il nie toute finalité naturelle et s’il peut tenir toute la nature, y compris la nature apparemment animée, hors lui-même, pour un moyen.»

    22 Cfr. Francesco Bacone, Nuovo organo, Milano 2002, I, 3, p. 78.

    23 Cfr. Canguilhem, «Activité technique et création», op. cit., p. 504.

    24 Cfr. Ugo Balzaretti, Leben und Macht. Eine radikale Kritik am Naturalismus nach Michel Foucault und Georges Canguilhem, Weilerswist 2018, pp. 510 ss.

    25 Poi confluito in: Georges Canguilhem, Le normal et le pathologique, Parigi 1966 (trad. it.: Il normale e il patologico, Torino 1996).

    26 Ibid., p. 20: «Voilà donc un principe de nosologie investi d’une autorité universelle, y compris dans l’ordre politique.»

    27 Cfr. ibid., p. 18 ss.; in particolare p. 18: «Comte attribue à ce qu’il appelle le principe de Broussais une portée universelle, dans l’ordre des phénomènes biologiques, psychologiques et sociologiques

    28 Cfr. ibid., p. 78 s.

    29 In proposito non può sfuggire l’affinità con le critiche di Michel Foucault alle tecno-logie disciplinari e carcerarie incentrate sul potere biopolitico della norma delle scienze umane (cfr.: Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Parigi 1975, pp. 225 ss., in part. 251: «La discipline ne peut s’identifier ni avec une institution ni avec un appareil; elle est un type de pouvoir, une modalité pour l’exercer, comportant tout un ensemble d’instruments, de techniques, de procédés, de niveaux d’application, de cibles; elle est une ‘physique’ ou une ‘anatomie’ du pouvoir, une technologie»; cfr. Balzaretti, Leben und Macht, op. cit., pp. 283 ss.).

    30 Cfr. Canguilhem, Le normal et le pathologique, op. cit., p. 156.

    31 Cfr. Georges Canguilhem, «Le normal et le pathologique» (1951), in: La connaissance de la vie, op. cit., pp. 155–169, in part. p. 169: «En conclusion, nous pensons que la biologie humaine et la médicine sont des pièces nécessaires d’une ‘anthropologie’, qu’elles n’ont jamais cessé de l’être, mais nous pensons aussi qu’il n’y a pas d’anthropologie qui ne suppose une morale, en sorte que toujours le concept de ‘normal’, dans l’ordre humain, reste un concept normatif et de portée proprement philosophique.»

    32 In questo senso vale la pena di ricordare il motto di Jean Hyppolite, collega e sodale di Canguilhem: «L’essence de la technique n’est pas elle-même technique» (Jean Hyppolite, «La machine et la pensée», conferenza tenuta all’Università di Mosca nell’aprile-maggio 1961, in: Figures de la pensée philosophique, Parigi 1971, vol. II, pp. 891–919, in part. p. 915. Per la nozione di «projet instaurateur» si veda già Canguilhem, «Qu’est-ce que la psychologie?», op. cit., p. 376; inoltre, ibid. p. 366: «Ou plus exactement, l’expression ‘objet de la science’ a reçu un sens nouveau. L’objet de la science ce n’est plus seulement le domaine spécifique des problèmes, des obstacles à résoudre, c’est aussi l’intention et la visée du sujet de la science, c’est le projet spécifique qui constitue comme telle une conscience théorique.»

    33 Ibid., p. 367: «Nous voudrions essayer, parce que nous ne sommes pas un psychologue, d’aborder la question fondamentale posée par une voie opposée, c’est-à-dire de rechercher si c’est ou non l’unité d’un projet qui pourrait conférer leur unité éventuelle aux différences sortes de disciplines dites psychologiques

    34 Nel dattiloscritto aveva inoltre aggiunto a mano, senza che l’integrazione fosse ripresa nella versione pubblicata: «La restitution du passé de quelques-unes des questions dont nous sommes les héritiers, alors que nous croyons en être les inventeurs, permettra peut-être à certains d’entre nous d’apprendre qu’il y avait de l’actualité avant leur naissance.»

    35 Canguilhem pone ovviamente una questione di principio e non di fatto. Osserva, ad esempio, che esistono fisiologhi, come ad esempio François Jacob, che non confondono i confini (bornes) e i limiti (limites) della loro disciplina: se sono inclini ad arretrarne i confini, ovvero a considerarne il compimento delle potenzialità della neurologia meno remoto nel tempo, si mostrano tuttavia prudenti quanto alla possibilità di varcarne i limiti (cfr. CP 914).

    36 Cfr. Le parti degli animali, 652a-b.

    37 Per Platone il cervello è «la cittadella, l’Acropoli del corpo umano» (Timeo, 70b); l’encefalo è invece la sede dell’anima (73 d).

    38 Già in: «Qu’est-ce que la psychologie?» Canguilhem aveva potuto affermare che l’odierna psicologia come scienza naturale, psico-fisiologia e psicopatologia medica risale fondamentalmente con Galeno al II secolo d.C. (cfr. op. cit., p. 369).

    39 In «Qu’est-ce que la psychologie?» (op. cit., p. 757) Canguilhem ricorda in proposito la risposta piccata di Descartes all’epicureo Gassendi che, sulla base di quanto insegnato dalla Scuola, ricorreva alla metafora spaziale della riflessione in uno specchio per opporre alla conoscenza intuitiva delle idee innate la conoscenza solo mediata che avrebbe di sé stessa la coscienza che così come ogni ente naturale si troverebbe nell’impossibilità di agire su sé stessa: «Vous prouvez cela par l’exemple du doigt qui ne se peut frapper soi-même, et de l’œil qui ne se peut voir si ce n’est dans un miroir: à quoi il est aisé de répondre que ce n’est point l’œil qui se voit lui-même ni le miroir, mais bien l’esprit, lequel seul connaît et le miroir, et l’œil, et soi-même» (Méditations métaphysiques. Cinquièmes réponses, AT VII, p. 367). Non c’è sistema naturale che possa garantire una riflessione in sé stesso.

    40 Louis F. Lélut, Qu’est-ce que la phrénologie? Essai sur la signification et la valeur des systèmes de psychologie en général, et de celui de Gall en particulier, Parigi 1836, p. 239, citato in: CP, p. 902.

    41 «Et le dernier mot de cet historique est la question: comme un Je pense peut-il advenir à ça qu’indique et décrit, après le phrénologiste, le physiologiste d’aujourd’hui, à Ça, un cerveau?» (CP, p. 911).

    42 Blaise Pascal, Pensées, a c. di Ph. Sellier, Parigi 1991, p. 426 (n. 617; éd. Brunschvicg: n. 96).

    43 Il modello formale del funzionamento dell’ordinatore è stato notoriamente fornito dalla macchina da algoritmi del matematico britannico Alan Turing. Cfr. Alan M. Turing, «Computing Machinery and Intelligence», in: Mind. A Quarterly Review of Psychology and Philosophy, LIX, 236, ottobre 1950, pp. 433–460; sulla macchina di Turing si veda inoltre Searle, Mind, op. cit., p. 47 e, in generale, sul modello formale dei calcolatori elettronici in base alla teoria dell’informazione: Hyppolite, «La machine et la pensée», op. cit. pp. 901 ss.; Idem, «Information et communication», testo di due conferenze tenute all’Università di Bruxelles nel 1967, in: Figures de la pensée philosophique, op. cit., pp. 928–971, in part. p. 930 ss.

    44 Analogamente si veda per un confronto con la fase lacaniana dello specchio e le conseguenze per lo statuto della psicanalisi: Ugo Balzaretti, «Cogito et histoire du sujet: quelques remarques sur la biopolitique et la psychanalyse», in: Astérion. Philosophie, histoire des idées, pensée politique, 21/2019 (https://journals.openedition.org/asterion/4206).

    45 Méditations métaphysiques. Cinquièmes réponses, AT VII, p. 365.

    46 Così Canguilhem (CP, p. 931); Husserl, nelle sue lezioni, parla invece propriamente di «una costante croce» (Edmund Husserl, Erste Philosophie (1923/1924), a c. di R. Boehm, L’Aia 1956, p. 53: «Freilich so, wie die Psychologie auf den Plan tritt, ist sie eigentlich ein beständiges Kreuz der philosophischen Geister

    47 Si veda la recensione di Les mots et le choses da parte di Canguilhem: «Mort de l’homme ou épuisement du Cogito» (1967), in: Œuvres complètes, vol. V, op. cit., 189–214, in part. 209 ss. (trad. it. in appendice a Michel Foucault, Le parole e le cose, Milano 1998, pp. 417–436).

    48 Probabilmente niente mostra meglio le radici comuni della critica alla normalizzazione di Georges Canguilhem e di Michel Foucault che un confronto tra, da un lato, la critica di Canguilhem al naturalismo della psicologia e, dall’altro, l’analitica della finitudine che Foucault pone al centro della sua archeologia delle scienze umane in Les mots et les choses, quest’ultima se considerata in particolare nei suoi rapporti con una delle sue fonti dirette ovvero la dialettica dell’Illuminismo e la critica all’intrinseco strumentalismo dell’antropologismo moderno ne La fenomenologia dello spirito di Hegel. Cfr. Michel Foucault, Les mots et les choses, Parigi 1966, pp. 323 ss.; inoltre: Ugo Balzaretti, «Hegels Aufklärung und Foucaults Analytik der Endlichkeit’ als Schwelle zur Moderne», in: A. Arndt, M. Gerhard, J. Zovko (a c. di.), Hegel und die Moderne. Zweiter Teil (Hegel Jahrbuch 2013), Berlino 2013, 325–31; Idem, Leben und Macht, op. cit., pp. 401 ss.

    49 Lo psicologo americano Burrhus Frederic Skinner (1904–1970) inventò una speciale tecnica di condizionamento non basata, come quella di Pavlov, su una reazione di risposta, ma su quella che egli stesso chiama un’attitudine operante. Il senso del suo progetto di radicalizzazione del behaviorismo è ben sintetizzato dal titolo del suo libro più noto, Beyond Freedom and Dignity (New York, 1971), che ottenne un grande successo in libreria non da ultimo a causa dello scandalo che suscitò alla sua uscita.

    50 Cfr. Massimo Piattelli-Palmarini (a c. di), Théories du langage. Théories de l’apprentissage. Le débat entre Jean Piaget et Noam Chomsky, Parigi 1979.

    51 Baruch Spinoza, Ethica, V, xlii, scholium; cfr. CP, p. 932.

    52 Sulla nozione di anticipazione si veda ad esempio Canguilhem, Le normal et le pathologique, op. cit., p. 183; per la sesta meditazione: Georges Canguilhem, «Organisme et modèles mécaniques. Réflexions sur la biologie cartésienne» (1955), Œuvres complètes, vol. IV, op. cit., pp. 625–642.