L’analisi esistenziale – dal tedesco Daseinsanalyse – o analisi del Dasein (esser-ci o “essere-nel-mondo”), è un approccio alla psicopatologia inaugurato all’inizio degli anni trenta del Novecento dallo psichiatra svizzero Ludwig Binswanger (1881-1966). Formatosi in una delle cliniche psichiatriche più celebri d’Europa tra il XIX e il XX secolo – il Burghölzli di Zurigo diretto da Eugen Bleuler (1857-1939) – Binswanger ha l’opportunità di confrontarsi con gli sviluppi più innovativi della psichiatria accademica del suo tempo, ovvero con quella parte di essa che intravvedeva la possibilità di affrontare i disturbi psichiatrici dal punto di vista della nascente psicologia dinamica. In un’epoca in cui l’approccio scientifico dominante era fondato sulla ricerca delle basi neuro-fisiopatologiche a fondamento delle psicosi e in cui le teorizzazioni nosologiche in psichiatria andavano di pari passo con una sperimentazione terapeutica guidata dal criterio di un’efficacia empirica alla quale non corrispondeva necessariamente un adeguato sapere scientifico, Binswanger si sforza di allentare le frontiere tra la pratica psichiatrica e la riflessione epistemologica, cercando di elaborare un modello metodologico fondato direttamente sulla clinica.
All’origine della svolta che Binswanger intende imprimere alla psichiatria del suo tempo, vi è soprattutto la questione di come riconciliare la storicità, la singolarità vivente del malato con le esigenze della scienza. In altri termini: come è possibile spiegare scientificamente il singolare, l’elemento soggettivo della patologia che per sua stessa definizione sfugge alle pretese universalistiche del discorso scientifico? Tale questione ha delle conseguenze molto importanti da un punto di vista epistemologico, se è vero che l’esigenza di rendere conto scientificamente del carattere singolare del soggetto in un’epoca in cui la psichiatria ambiva al modello delle scienze mediche – per il quale solo la ricerca dell’evidenza empirica era considerata oggettiva e quindi “scientifica” – comporta la necessità di pensare in modo alternativo la scientificità del sapere psichiatrico. Binswanger si impegna dunque a offrire una via d’uscita al dilemma in cui si trovava la psichiatria del suo tempo, tra la “possibilità di rimanere semplicemente una scienza applicata, un agglomerato di psicopatologia, di neurologia e di biologia tenuto insieme soltanto dal suo compito pratico, oppure diventare una scienza unitaria”1.
L’esigenza di colmare la frattura tra i dati concreti e singolari delle manifestazioni psicologiche e le categorie esplicative intese a classificarle era già stata affrontata all’inizio degli anni dieci dallo psichiatra tedesco Karl Jaspers (1883-1969). Nella sua celebre Psicopatologia generale (Allgemeine Psychopathologie, 1913), Jaspers aveva infatti formulato il progetto di una “psicologia comprensiva” (verstehende Psychologie) volta, da una parte, a visualizzare, definire, descrivere e ordinare gli stati psichici (“comprensione statica”) e, dall’altra, a comprendere i rapporti e la filiazione di questi ultimi (“comprensione genetica”)2. Tale psicologia, tuttavia, finiva per dichiararsi impotente di fronte alle manifestazioni della malattia mentale proprio a causa dell’abisso rappresentato dalla loro illimitata mutevolezza e quindi incomunicabilità. A tale posizione jaspersiana, secondo la quale in ambito psicologico è pertanto impossibile formulare qualsiasi tipo di legge, Binswanger obietta che il problema più urgente per la psicologia è proprio quello di trovare una nuova forma di intelligibilità, la quale, pur essendo certamente alternativa rispetto a quella delle scienze naturali, non per questo dovrà essere meno scientifica nel suo intento di “estrarre” e “ordinare” i fatti psichici organizzandoli in una teoria3.
Se inizialmente il giovane Binswanger ravvisa tale modello scientifico-esplicativo alternativo nella dottrina freudiana – la quale rappresenta ai suoi occhi il modello della possibilità di raccogliere e organizzare i “vissuti reali di persone reali e individuali”4 “secondo temi o connessioni di senso razionali” (Sinnzusammenhänge)5 – egli finisce tuttavia per staccarsi progressivamente dalla psicoanalisi e rivolgersi a un tempo alla psicologia della Gestalt e alla fenomenologia di Edmund Husserl. In un saggio della metà degli anni venti dedicato ai “Compiti prospettati alla psichiatria dai progressi della psicologia più recenti”, Binswanger cita la “teoria della forma”, la quale “respinge la costruzione e la comprensione dello psichico a partire dalla mera sommatoria di una molteplicità di elementi diversi” per coglierlo e indagarlo prendendo le mosse dalle “connessioni strutturali e dai principi strutturali che le reggono”6. Binswanger annovera anche Husserl fra i promotori di questo indirizzo strutturale della ricerca psicologica. Ad attirare la sua attenzione, in particolare, è il principio husserliano secondo il quale “qualunque sia la forma in cui la storia interiore ci si presenta, essa non sarà mai un susseguirsi di funzioni organologiche regolato da leggi naturali”, bensì “l’unità dei momenti di un senso che si richiamano dall’interno”, oppure “l’unità di un plasmarsi conformemente a un senso e secondo un’interna motivazione”7.
In un celebre intervento del 1922 “Sulla fenomenologia” (Über Phänomenologie), ciò in base a cui Binswanger motiva la propria adesione alla metodologia husserliana è la possibilità che essa offriva, mediante l’intuizione dell’essenza, di cogliere l’oggetto “in modo più originario e totale”, di “essere trasportati dentro l’oggetto osservato”8 a prescindere da “qualsiasi ipostatizzazione indiretta”9. Rispetto alla psicoanalisi, “il vantaggio della fenomenologia, che a sua volta è un edificio scientifico dottrinale, sta nel fatto di indurci con la massima energia alla semplice osservazione dei fenomeni, di insegnarci a ritenere valido soltanto ciò che vediamo realmente attraverso l’intuizione sensibile o la visione delle essenze e di evitare che a quanto si ‘vede’ si sovrapponga una qualsiasi teoria”10. Come lo psichiatra ribadirà in un testo del 1949 sull’importanza di Husserl per la propria ricerca, “solo Husserl mi aveva aiutato a comprendere con evidenza che nel caso del metodo scientifico della psicoanalisi […] si tratta da ultimo di una ‘reinterpretazione’ di possibilità a priori o essenziali in processi di sviluppo genetici”11.
In quello stesso saggio del 1922, tuttavia, sono già presenti in nuce le ragioni che all’inizio degli anni trenta spingono Binswanger verso la “seconda svolta” della sua ricerca, ovvero l’incontro con il pensiero di Martin Heidegger. Se ora Binswanger aderisce al programma heideggeriano, è perché questo gli sembra maggiormente consono a una ricerca, come quella psicopatologica, che si rivolge all’esistenza, una ricerca dunque “che non vuole né pretende innalzarsi fino alla visione delle pure essenze nella loro assoluta universalità”12. Come egli chiarirà retrospettivamente nella premessa alla prima edizione della sua raccolta di scritti, l’impatto di Sein und Zeit sulla sua speculazione, fino ad allora concentratasi quasi esclusivamente sui problemi gnoseologico-metodologici della psicologia, era consistito precisamente nella considerazione che in psichiatria “non ci è possibile soddisfare le esigenze dell’eidetica fenomenologica pura nel senso di Husserl. Possiamo solo accontentarci di mirare all’essenza a partire dal fatto particolare”, mentre “l’influenza di Heidegger si esprime nel tentativo di azzardarne un’interpretazione esistenziale e biografica”13. Il saggio binswangeriano che apre questa nuova “fase” speculativa, Sogno ed esistenza (1930)14, rende conto precisamente di questa rinnovata auto-consapevolezza teorica. Agli occhi dello psichiatra di Kreuzlingen, tanto l’edificio dottrinale della psicoanalisi quanto le intuizioni metodologiche della fenomenologia husserliana dovevano essere incanalati in direzione di una ricerca di carattere antropologico, rivolta cioè allo studio dell’esser-ci, dell’essere dell’uomo “nel mondo”.
Il concetto heideggeriano di Dasein o “essere-nel-mondo” – seppur spogliato della problematica prettamente ontologica al cuore del progetto filosofico di Heidegger, il che varrà a Binswanger le critiche dello stesso Heidegger e, soprattutto, dello psichiatra svizzero suo allievo, Medard Boss (1903-1990)15 – diviene dunque il fulcro del nuovo approccio di Binswanger alla psicopatologia. È solo partendo dall’analisi dell’“essere-nel-mondo” proprio del malato che, secondo Binswanger, è possibile riconoscere e spiegare l’esperienza psicopatologica senza presupporre una separazione tra l’uomo e la sua malattia. Nell’ottica daseinsanalitica, l’essere-nel-mondo è definito dalle strutture a priori che determinano le modalità secondo le quali si costituisce l’esperienza. Tali strutture sono la spazialità, la temporalità e l’intersoggettività. Insieme, esse figurano come le condizioni di possibilità di ciò che Binswanger definisce il “progetto di mondo” del malato. È precisamente a partire dall’analisi di queste strutture che lo psichiatra può individuare il significato comune, l’unità di senso o di “stile” di tale mondo. In questo modo, l’esperienza patologica cessa di essere respinta al di fuori dell’uomo malato, come un accidente esteriore, per essere riconosciuta, al contrario, come il suo progetto più proprio. La domanda che lo psichiatra si dovrà dunque porre nell’analizzare il paziente che ha di fronte non sarà più quella relativa alle alterazioni fisiologiche che fanno di lui un malato, ma piuttosto: in quale universo vive quest’uomo? Quali sono il suo spazio, il suo tempo, le sue relazioni con gli altri? Come ha spiegato bene Michel Foucault in un volume postumo dedicato all’analisi esistenziale, ciò significa:
rifiutarsi di chiedere conto di questo universo alla malattia, per cercarne invece il fondamento nell’uomo stesso: e non tanto in quanto è malato, ma solo in quanto è uomo, in quanto è esistenza, in quanto è libero. Il mondo di un malato non è il processo della malattia, è il progetto dell’uomo.16
È evidente come la ricezione dell’analitica heideggeriana del Dasein da parte di Binswanger si ponga su un piano eterogeneo rispetto agli intenti strettamente teoretico-ontologici dell’analitica esistenziale Heidegger. Il concetto heideggeriano di Dasein, infatti, viene assunto e fatto proprio dall’analisi esistenziale binswangeriana soltanto come una sorta di strumento o “filo conduttore metodologico” per un’analisi tesa a scovare, attraverso le forme molteplici mediante cui si manifestano le malattie mentali, quel nucleo strutturale, quell’a priori che fornisca anche la chiave per affrontarle:
Che la struttura dell’essere-nel-mondo sia in grado di fornirci un simile filo conduttore metodologico dipende però dal fatto che con essa ci si offre una norma e perciò la possibilità di fissare con esattezza scientifica le deviazioni da questa norma [...]. Se per esempio possiamo parlare di vita maniacale o, meglio, di forma di esistenza maniacale, ciò vuol dire che siamo riusciti a stabilire una norma che abbraccia e domina tutti i modi di espressione e di comportamento che noi definiamo “maniacali” [...] l’essente non è mai accessibile all’uomo come tale, ma sempre e soltanto in e attraverso un determinato progetto di mondo17.
La posta in gioco più marcatamente filosofica della psicopatologia cosiddetta “esistenziale” sta tutta qui, nel tentativo di pensare a un principio esplicativo – il trascendentale appunto – che sia immanente a quella realtà stessa di cui esso intende offrirsi come la spiegazione. Questa è precisamente l’alternativa che l’ottica daseinsanalitica mira a fornire a un pensiero psichiatrico che rischierebbe altrimenti, agli occhi di Binswanger, di irrigidirsi nelle griglie imposte dalla tradizione positivista della psicopatologia. Lo psichiatra svizzero lo afferma esplicitamente nel suo saggio del 1933 Sulla fuga delle idee, nel momento in cui assegna alla Daseinsanalyse il compito di “interpretare dall’interno il progetto del mondo” dell’uomo psichicamente malato, “ossia partendo da criteri a lui immanenti”18. Ciò non significa naturalmente far assurgere dei vissuti individuali a criteri analitico-esplicativi validi universalmente, così come non può significare che l’indagine psichiatrica debba limitarsi alla contingenza del caso di volta in volta analizzato. La critica che Binswanger muove a Jaspers sta tutta qui: la Daseinsanalyse non intende arrestarsi a una “fenomenologia descrittiva delle manifestazioni soggettive della vita psichica”19, ma mira a compiere un passo ulteriore, quel passo che Binswanger può inaugurare attraverso l’incontro con la fenomenologia husserliana e con l’analitica esistenziale (Daseinsanalytik) heideggeriana.
È solo in questi termini, dunque, che Binswanger può permettersi di qualificare la Daseinsanalyse come “comprensione trascendentale”20. Il senso che il concetto di a priori assume nel contesto dell’analisi esistenziale ha lo scopo di fornire una guida, un “indirizzo” allo psichiatra che intende affrontare i vissuti patologici dei malati. La volontà di liberarsi dai pregiudizi trasmessi dalla psichiatria positivista, quindi – per dirla con uno dei maggiori allievi di Binswanger, lo psichiatra svizzero Roland Kuhn (1912-2005) – non sta tanto in “dichiarazioni patetiche sulla necessità di un mutamento radicale del nostro orientamento scientifico” che ci porti ad “un livello più elevato di comprensione o che ci faccia discendere agli inferi dell’esistenza umana”21. La vera rivoluzione della Daseinsanalyse sta invece nel creare le condizioni per rendere possibile un’intuizione che metta in luce i caratteri “essenziali” dei vissuti patologici. Ora, così come questa intuizione dell’essenza, pur nell’assonanza che certamente essa mantiene con il progetto dell’epoché husserliana, non possiede né il carattere, né la finalità teoretico-trascendentale di quest’ultima, allo stesso modo, come hanno affermato lo stesso Roland Kuhn e un altro grande interprete francese della Daseinsanalyse, il filosofo Henri Maldiney (1912-2013), i concetti fondamentali della Daseinsanalyse – vale a dire le strutture a priori dei vissuti – non sono degli “esistenziali” da concepire a parte rispetto all’esistente, ma ne costituiscono le “dimensioni” a un tempo immanenti e trascendenti. La stessa analisi esistenziale, pertanto, non può essere compresa limitatamente al suo piano teorico, giacché essa non ha ragion d’essere se non “in atto”, ovvero nell’ambito della clinica psichiatrica22.
Benché l’opera di Binswanger lasci maggior spazio alla riflessione teorica rispetto alla presentazione di una vera e propria tecnica terapeutica, la riflessione che essa ha aperto resta ancora oggi un punto di riferimento importante per gli psichiatri, i medici, ma anche i filosofi che si interrogano sul tema della “cura”. L’analisi esistenziale apre in effetti lo spazio a una visione ottimista della clinica che concepisce la pratica terapeutica – per citare le parole del medico e filosofo Lazare Benaroyo – come un’attività che “non si accontenta di prevedere per il paziente un ritorno alla norma fisiologica, ma si concentra allo stesso modo sulle capacità del malato di trovare una nuova norma di esistenza”23. Lo psichiatra “esistenziale”, in effetti, grazie alla sua capacità di rivelare le “direzioni di senso” che strutturano la formazione del “progetto di mondo” del malato, avrebbe la possibilità, per mezzo della sua azione terapeutica, di intervenire direttamente in tale formazione, aiutando così i malati a intervenire loro stessi nel proprio universo, ovvero – come ha mostrato molto bene Roland Kuhn – a “interrogarsi sullo stile secondo il quale agiscono”, il quale consiste “in un certo modo di rapportarsi con un mondo, con gli altri, con se stessi”24. Lungi dall’imporsi dall’esterno con le proprie regole e il proprio sistema interpretativo, la terapia viene concepita, al contrario, come “un nuovo atto creatore”25. Da qui l’importanza che l’analisi esistenziale attribuisce alle dimensioni temporali del presente e del futuro rispetto all’idea tradizionale secondo la quale il passato interverrebbe in modo determinista sui contenuti dei vissuti dei pazienti. Ciò che conta, per lo psichiatra esistenziale, è infatti la “situazione reale e attuale, nell’incontro unico di due persone esistenti”26.
Si tratta di un’impostazione che, nell’ottica di Kuhn, ha importanti conseguenze proprio in ambito terapeutico e, in particolare, nell’ambito della ricerca psicofarmacologica. Quest’ultima, infatti, a differenza di quanti la vorrebbero posta su di un piano per essenza irriducibile all’approccio esistenziale della terapia, secondo Kuhn, nell’ambito dell’analisi esistenziale diviene parte integrante di un’indagine sull’“essere psichicamente malato” focalizzata precisamente su quelle “condizioni dell’azione” del malato che sono anche le sue “possibilità esistenziali”. Se gli psicofarmaci si trovano ad agire sulle funzioni della motricità e dell’umore, scrive Kuhn, non è perché essi intervengono puntualmente sul deficit neurofisiologico che starebbe alla base di questi ultimi secondo una determinazione causale, ma perché agiscono sulla qualità di quella spazialità e quella temporalità che costituiscono appunto la “condizione di possibilità dell’azione”27. Non si spiegherebbe, altrimenti, come “delle idee morbose, ovvero dei fenomeni puramente intellettuali, possano essere normalizzati per mezzo di sostanze materiali”28. In altri termini, non è mai “il movimento in sé” a essere disturbato, ma sempre quella configurazione spazio-temporale dell’esperienza che solo un approccio esistenziale è in grado di portare alla luce. Di conseguenza, non sarà in vista di specifici effetti a livello del sistema nervoso e della motricità considerati in sé che lo psichiatra dovrà far rientrare questi farmaci nella dinamica della terapia, ma sempre e soltanto nella prospettiva più ampia di quell’intreccio di “direzioni significative” che costituisce l’unicità della presenza del malato nel mondo, e all’interno della quale la stessa relazione terapeutica va compresa.
Ma se è così, è a partire dalla relazione terapeutica, e solo a partire da questa, che lo psichiatra-farmacologo potrà non soltanto scegliere e impiegare una determinata sostanza già esistente, ma “inventare quella stessa entità morbosa per la quale una certa sostanza può essere individuata – o ricercata – come farmaco specifico”29. Solo in questo modo, sostiene Kuhn, la psicofarmacologia potrà rientrare a pieno titolo in quella clinica che in ultima analisi è la ragion d’essere della psichiatria, quella stessa clinica a partire dalla quale la psichiatria, nella forma dell’analisi esistenziale, all’inizio del XX secolo ha avvertito il bisogno di “prendere coscienza dei propri fondamenti”30.
Letture consigliate
Basso, Elisabetta, “‘Le rêve comme argument’: les enjeux épistémologiques à l’origine du projet existentiel de Ludwig Binswanger”, Archives de Philosophie, 73/4 (2010), pp. 655-686.
Basso, Elisabetta, “The Clinical Epistemology of Ludwig Binswanger (1881-1966): Psychiatry as a science of Singularity”, in Alan Blum, Stuart J. Murray (a cura di), The Art of Care: Moral Knowledge, Communication and the Culture of Caregiving, New York, Routledge, 2017, pp. 179-194.
Besoli, Stefano (a cura di), Ludwig Binswanger. Esperienza della soggettività e trascendenza dell’altro. I margini di un’esplorazione fenomenologico-psichiatrica, Macerata, Quodlibet, 2006.
Cabestan, Philippe, Dastur, Françoise, Daseinsanalyse, Paris, Vrin, 2011.
Foucault, Michel, Binswanger et l’analyse existentielle, ed. a cura di E. Basso, Paris, Les Éditions du Seuil/Gallimard/EHESS, 2021.
Galimberti, Umberto Psichiatria e fenomenologia, Milano, Feltrinelli, nuova ed., 2006.
Herzog, Max, Weltentwürfe: Ludwig Binswangers phänomenologische Psychologie, Berlin, de Gruyter, 1994.
Holzhey-Kunz, Alice, Daseinsanalyse: der existenzphilosophische Blick auf seelisches Leiden und seine Therapie, Wien, facultas.wuv Universitäts 2014.
Lantéri-Laura, Georges, La psychiatrie phénoménologique. Fondements philosophiques, Paris, Presses Universitaires de France, 1963.
Molaro, Aurelio, Stanghellini, Giovanni (a cura di), Storia della fenomenologia clinica, Torino, UTET, 2020.
Stanghellini Giovanni et al., The Oxford Handbook of Phenomenological Psychiatry, Oxford, Oxford University Press, 2019.
1 Ludwig Binswanger, “Psychoanalyse und klinische Psychiatrie”, Internationale Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse, 7, 1920, p. 137-165; Ausgewählte Vorträge und Aufsätze, vol. 2: Zur Problematik der psychiatrischen Forschung und zum Problem der Psychiatrie, Bern, Francke, 1955, p. 40-66; trad. it. di Enrico Filippini, “Psicoanalisi e psichiatria clinica”, in Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, ed. a cura di F. Giacanelli, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 212.
2 Karl Jaspers, Allgemeine Psychopathologie. Für Studierende, Ärzte und Psychologen, Berlin, Springer, 1913. Cf. anche “Kausale und ‘verständliche’ Zusammenhänge zwischen Schicksal und Psychose bei der Dementia praecox (Schizophrenie)”, Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie, vol. 14, 1913, p. 158‑263; Gesammelte Schriften zur Psychopathologie, a cura di Chantal Marazia, in collaborazione con Dirk Fonfara, Gesamtausgabe, vol. I-3, Basel, Schwabe Verlag, 2019, p. 383-479.
3 Ludwig Binswanger, “Bemerkungen zu der Arbeit Jaspers’ ‘Kausale und ‘verständliche’ Zusammenhänge zwischen Schicksal und Psychose bei der Dementia praecox (Schizophrenie)’”, Internationale Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse, 1 (1913) pp. 383-390.
4 Id., “Erfahren, Verstehen, Deuten in der Psychoanalyse,” Imago, 12/2-3 (1926), p. 223-237; Ausgewählte Werke in vier Bänden, vol. 3: Vorträge und Aufsätze, ed. a cura di M. Herzog, Heidelberg, Asanger, 1994, pp. 3-16, p. 9; trad. it. di Enrico Filippini, “Esperire, comprendere, interpretare nella psicoanalisi”, in Per un’antropologia fenomenologica, op. cit., p. 220.
5 Id., “Esperire, comprendere, interpretare nella psicoanalisi”, art. cit. p. 224.
6 Ludwig Binswanger, “Welche Aufgaben ergeben sich für die Psychiatrie aus den Fortschritten der neueren Psychologie?”, Zeitschrift für gesamte Neurologie und Psychiatrie», 91/3-5 (1924), pp. 402-436; Ausgewählte Vorträge und Aufsätze, vol. 2: Zur Problematik der psychiatrischen Forschung und zum Problem der Psychiatrie, Bern, Francke, 1955, pp. 111-146; trad. it. di Enrico Filippini, “Quali compiti sono prospettati alla psichiatria dai progressi della psicologia più recenti?”, in Per un’antropologia fenomenologica, op. cit., pp. 263-300.
7 Id., “Lebensfunktion und innere Lebensgeschichte, Monatsschrift für Psychiatrie und Neurologie», 68 (1928), pp. 52-79; Ausgewählte Werke, vol. 3: Vorträge und Aufsätze, op. cit., pp. 71-94; trad. it. di E. Filippini, “Funzione di vita e storia della vita interiore”, in Per un’antropologia fenomenologica, op. cit., p. 51.
8 Id., “Über Phänomenologie”, Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie», 82 (1923), pp. 10-45; Ausgewählte Werke, vol. 3, op. cit., pp. 35-69; trad. it. di E. Filippini, “Sulla fenomenologia”, in Per un’antropologia fenomenologica, op. cit., p. 7.
9 Ivi, p. 29.
10 Ivi, p. 16.
11 Ludwig Binswanger, “Dank an Edmund Husserl”, in AA.VV. Edmund Husserl 1859-1959; La Haye, Nijhoff, 1959, pp. 64-72; trad, it. di S. Besoli, “Ringraziamento a Edmund Husserl”, in Ludwig Binswanger. Esperienza della soggettività e trascendenza dell’altro. I margini di un’esplorazione fenomenologico-psichiatrica, a cura di Stefano Besoli, Macerata, Quodlibet, 2006, pp. 15-22, p. 17-18.
12 Id., “Sulla fenomenologia”, art. cit., p. 25.
13 Id., Ausgewählte Vorträge und Aufsätze, vol. 1: Zur phänomenologischen Anthropologie, Bern, Francke, 1947, p. 9.
14 Id., “Traum und Existenz”, Neue Schweizer Rundschau, 23 (1930), pp. 673-685, 766- 779; Ausgewählte Werke, vol. 3, Vorträge und Aufsätze, op. cit., pp. 95-119; trad. it. di Enrico Filippini, “Sogno ed esistenza”, Per un‘antropologia fenomenologica, op. cit., p. 65-90.
15 Si veda Martin Heidegger, Zollikoner Seminare. Protokolle - Gespräche - Briefe, a cura di Medard Boss, Frankfurt a. M., Klostermann, 1987; trad. it. a cura di Eugenio Mazzarella e Antonello Giugliano, Seminari di Zollikon. Protocolli seminariali - Colloqui - Lettere, Napoli, Guida, 1991.
16 Michel Foucault, Binswanger et l’analyse existentielle, édition établie, a cura di E. Basso, Paris, Les Éditions du Seuil/Gallimard/EHESS, 2021.
17 Ludwig Binswanger, “Über die daseinsanalytische Forschungsrichtung in der Psychiatrie”, Schweizer Archiv für Psychiatrie und Neurologie, 57 (1946), p. 209-235; Ausgewählte Werke, vol. 3: Vorträge und Aufsätze, op. cit., p. 231-257; trad. it. di C. Mainoldi, “L’indirizzo antropoanalitico in psichiatria”, in Il caso Ellen West e altri saggi, a cura di F. Giacanelli, Milano, Bompiani, 1973, pp. 33-34.
18 Ludwig Binswanger, Über Ideenflucht, Zürich, Orel Füssli, 1933; Ausgewählte Werke, vol. I: Formen miβglückten Daseins, ed. a cura di M. Herzog, Heidelberg, Asanger, 1992, p. 1-231; trad. it. di Cristina Caiano, Sulla fuga delle idee, Torino, Einaudi, 194 (corsivi nostri).
19 Cfr. Ludwig Binswanger, Melancholie und Manie. Phänomenologische Studien, Pfullingen, Günter Neske Verlag, 1960, trad. it. di Maria Marzotto, Melanconia e mania. Studi fenomenologici, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, p. 17.
20 Ludwig Binswanger, “Studien zum Schizophrenieproblem: Der Fall Suzanne Urban”, Schweizer Archiv für Neurologie und Psychiatrie, 69 (1952), pp. 36-77; 70 (1952), pp. 1-32; 71 (1952), pp. 57-96; in Ausgewählte Werke, vol. IV: Der Mensch in der Psychiatrie, ed. a cura di A. Holzhey-Kunz, Heidelberg, Asanger, 1994, pp. 210-332; trad. it. di Giorgio Giacometti, Il caso Suzanne Urban. Storia di una schizofrenia, a cura di Eugenio Borgna e Mario Galzigna, Venezia, Marsilio, 1994, p. 175.
21 Roland Kuhn, “Existence et psychiatrie” (1971), in Écrits sur l’analyse existentielle, a cura di J.-C. Marceau, Paris, L’Harmattan, 2007, p. 230 (trad. nostra).
22 Roland Kuhn, Henri Maldiney, “Préface”, in Ludwig Binswanger, Introduction à l’analyse existentielle, trad. fr. di J. Verdeaux e R. Kuhn, Paris, Les Éditions de Minuit, 1971, pp. 7-24; ora in Roland Kuhn, Écrits sur l’analyse existentielle, a cura di J.-C. Marceau, Paris, L’Harmattan, 2007, pp. 57-82, p. 81.
23 Lazare Benaroyo, “Éthique et herméneutique du soin”, in Philosophie du soin : éthique, médecine et société, a cura di Lazare Benaroyo, Céline Lefève et al., Paris, PUF, 2010, p. 27.
24 Roland Kuhn, “L’errance comme problème psychopathologique ou déménager” (1973), in Écrits sur l’analyse existentielle, op. cit., p. 96 (trad. nostra).
25 Id., “L’essai de Ludwig Binswanger ‘Le rêve et l’existence’ et sa signification pour la psychothérapie” (2001), in Écrits sur l’analyse existentielle, op. cit., p. 318 (trad. nostra).
26 Id., “L’œuvre de Ludwig Binswanger, son origine et sa signification pour l’avenir” (1986), in Écrits sur l’analyse existentielle, op. cit., p. 143 (trad. nostra).
27 Id., “Psychopharmacologie et analyse existentielle” (1990), in Écrits sur l’analyse existentielle, op. cit., p. 181.
28 Ivi, p. 187.
29 Id., “Clinique et expérimentation en psychopharmachologie” (p. 186), in Écrits sur l’analyse existentielle, op. cit., p. 164.
30 Id., “L’importance actuelle de l’œuvre de Ludwig Binswanger” (1995), p. 239.