Il disaccordo in logica

    Il dibattito filosofico contemporaneo riguardo al disaccordo in logica si concentra principalmente su due problemi: la possibilità o meno di essere effettivamente in disaccordomriguardo alla validità di una legge logica, e come si debbano risolvere questi disaccordi (apparenti o meno che siano). Come vedremo, le due questioni sono profondamente legate. Perché la possibilità del disaccordo in logica non è scontata. Data la grande disponibilità di logiche in circolazione, il primo quesito potrà sembrare assurdo. Ad esempio, come potrebbero i logici classici che accettano il terzo escluso (cioè la legge per cui un enunciato è vero o lo è la sua negazione), e quelli intuizionisti che lo rifiutano per gli enunciati della matematica (dato che potremmo benissimo non avere alcuna dimostrazione né di un enunciato né della sua negazione) non essere in disaccordo? La risposta ha il tipico sapore di filosofia analitica: se i due stessero in realtà parlando di cose differenti, il disaccordo potrebbe essere apparente e basarsi su un fraintendimento. Per usare un esempio classico, si considerino due filosofi che dibattono del libero arbitrio. Diciamo che il primo sostiene che siamo liberi, mentre il secondo sostiene che il libero arbitrio sia un’illusione: pare evidente che i due filosofi siano in disaccordo. Tuttavia, se scoprissimo che il secondo definisce la libertà come possibilità controfattuale di comportarsi diversamente da come si è effettivamente fatto, mentre il primo la caratterizza attraverso la responsabilità morale delle proprie azioni, l’effettivo disaccordo tra i due filosofi sarebbe in dubbio. Infatti, i filosofi starebbero parlando della stessa cosa solo apparentemente, e il disaccordo tra loro sarebbe quindi puramente verbale.[1] Chi nega la possibilità del disaccordo in logica sospetta che tutti gli apparenti casi di disaccordo sull’argomento non possano che essere verbali.

     


    L’origine del problema in Carnap e il suo sviluppo in Quine


    L’origine di questa preoccupazione è certamente da trovare nei lavori dei neopositivisti. In particolare, Carnap ha sostenuto che ogni termine logico debba essere riferito a un linguaggio e che la validità logica sia da spiegare attraverso l’analiticità, cioè come una conseguenza del significato attribuito convenzionalmente ai termini logici al momento della loro definizione.[2] Di conseguenza, la nozione di validità logica in senso assoluto sarebbe insensata, così come il disaccordo riguardo a essa. Le uniche domande che rimangono formulabili, secondo Carnap, sono quelle riguardo alla validità di una legge logica all’interno di un sistema formale e quelle riguardo l’utilità pratica di un sistema formale per un’applicazione. In estrema sintesi, la posizione di Carnap è un pluralismo in cui la validità o meno di una legge logica è valutabile solo all’interno di un sistema formale.[3] Di conseguenza, il disaccordo riguardo alla validità di una legge logica può derivare solo: o dal non aver specificato il sistema formale a cui si fa riferimento (e in questo caso il disaccordo si dissolve), o da errori puramente formali nella dimostrazione della legge all’interno di un sistema di derivazione (e in questo caso il disaccordo è filosoficamente banale). Quine ha avuto una posizione tanto ambivalente quanto influente riguardo al disaccordo in logica. Sebbene in [Quine, 1951] abbia sostenuto in modo netto e chiaro la possibilità della revisione (empirica, per altro) della logica, in lavori successivi sembra aver negato la possibilità del disaccordo in logica, e quindi della revisione stessa della logica.[4] Questa seconda argomentazione, rimasta nota con lo slogan “change of logic, change of subject”, pur partendo da considerazioni differenti rispetto a quelle adottate da Carnap, porta tuttavia a una conclusione simile: cambiare le regole della logica significa non parlare più degli stessi termini logici. Gli interpreti non sono stati univoci nel leggere il cambiamento della posizione di Quine. Mentre alcuni hanno insistito sulla rottura tra le due posizioni, parlando di un cambiamento radicale di idea,[5] altri hanno osservato che sarebbe invece possibile intendere la seconda posizione come uno sviluppo della prima: il disaccordo tra logiche non sarebbe un disaccordo da interpretare in senso letterale, ma nasconderebbe un disaccordo più generale su quale teoria sia quella che meglio descrive il mondo.[6] 

    Prima di procedere oltre, è necessario un chiarimento riguardo alle differenze tra Carnap e Quine, dato che questo è rilevante per la posizione dei due autori riguardo all’epistemologia della logica. Differentemente da Carnap, Quine sostiene la sua posizione basandosi non sull’analiticità delle leggi della logica, ma sull’olismo della giustificazione.[7] Le teorie, per Quine, affrontano il tribunale della ragione nella loro interezza. Di conseguenza, non ha senso distinguere tra enunciati puramente osservativi ed enunciati analitici. Il disaccordo sulla validità di una legge logica non è impossibile per via dell’analiticità delle leggi, che seguirebbe dal significato teorico dei termini, ma perché il confronto di singoli elementi delle teorie trascurando queste nella loro interezza non è significativo. Di conseguenza, se per Carnap si può parlare di pluralismo, dato che ogni logica giustifica analiticamente le sue leggi,[8] Quine rimane indubbiamente un monista: solo una logica è quella valida, e lo è solo all’interno di una teoria che olisticamente superi il confronto con la realtà.[9] In questo senso, è chiaro che per Quine eventuali disaccordi in logica siano da risolversi (almeno in linea di principio) seguendo gli stessi criteri con cui scegliamo la migliore teoria empirica. A prescindere dalle particolarità della posizione quineiana sul significato, la posizione epistemologica per cui non ci sarebbe differenza sostanziale tra il modo con cui si affronta un disaccordo in logica e il modo in cui si affronta il disaccordo nelle altre scienze (antieccezionalismo logico) ha avuto molta fortuna recentemente. Molti filosofi hanno adottato e difeso questa posizione, come Williamson, Priest e Hjortland.[10]

     

    Argomenti a favore e contro “change of subject”

    Nonostante le differenze tra la posizione di Carnap e quella di Quine, nella letteratura sul disaccordo in logica le due obiezioni alla possibilità del disaccordo sono state solitamente confuse. Infatti, lo scetticismo di Quine rispetto all’utilità filosofica del significato trova oggi pochi seguaci, e l’argomento “change of logic, change of subject” viene solitamente inteso come: cambio di logica, quindi cambio di significato dei termini logici, quindi cambio di argomento. Di conseguenza, i filosofi si sono divisi sulla possibilità del disaccordo in base alla loro posizione sul significato dei termini logici. La questione è diventata a quali variazioni delle leggi soddisfatte da un termine logico corrisponda una variazione del significato. Ad esempio, se la disgiunzione utilizzata dai logici quantistici ha lo stesso significato di quella classica, il disaccordo non è diverso da come appare a prima vista, cioè un disaccordo su quali proprietà questo termine possegga. Viceversa, se la disgiunzione ha significati diversi, il disaccordo non può riguardare semplicemente il possesso o meno di una proprietà da parte di uno stesso oggetto. Vengono portati argomenti sia a favore che contro la variazione del significato: o adottando una teoria del significato e indagando la possibilità dei termini di preservare lo stesso significato nelle varie logiche, o in modo indiretto, prescindendo da una specifica teoria del significato. 

    Un argomento indiretto molto comune riguarda l’impossibilità della convivenza dei termini logici afferenti a logiche differenti nello stesso linguaggio. Ad esempio, se davvero la negazione intuizionista e quella classica avessero significati differenti, dovrebbe essere possibile disambiguarne il significato (ad esempio con dei pedici) e introdurre entrambe le negazioni nello stesso linguaggio. Questo è chiaramente possibile per la disgiunzione inclusiva e quella esclusiva, e per le due concezioni di libero arbitrio citate precedentemente. Tuttavia, è un risultato noto che per le negazioni classica e intuizionista questa opzione non sia percorribile. Infatti se introduciamo le regole per entrambe le negazioni all’interno dello stesso sistema, le regole classiche per la negazione diventano derivabili da quelle per la negazione intuizionista, e viceversa. Secondo l’argomento in analisi, ne seguirebbe che il disaccordo tra logici classici e intuizionisti non sarebbe riconducibile a una differenza del significato dei termini logici. Questo argomento viene avanzato per la prima volta in [Popper, 1948], per poi venire riproposto più dettagliatamente in [Williamson, 1987].[11]

    Si deve notare, tuttavia, che lo stesso fenomeno si presta ad essere spiegato in modo diverso da parte dei sostenitori della variazione del significato. Per Dummett ad esempio questa impossibilità della coesistenza non dimostrerebbe affatto l’identità di significato tra termini di logiche diverse, ma un disaccordo profondo riguardo alle teorie del significato adottate. Nel caso specifico, l’esempio mostrerebbe che i significati attribuiti dai due logici alla negazione fanno parte di teorie semantiche incompatibili: per l’intuizionista il significato attribuito dal logico classico ai termini logici sarebbe inaccettabile, e viceversa.[12] Di conseguenza il disaccordo tra logiche dovrebbe essere affrontato confrontando le rispettive teorie del significato. Un interessante sviluppo recente delle posizioni di Dummett tende a considerare l’analiticità come una condizione necessaria ma non sufficiente per la validità logica, fondendo la concezione semantica con quella antieccezionalista della validità.[13] 

    Un’estensione interessante di questi argomenti prende in considerazione traduzioni non omofoniche tra logiche. Sebbene infatti molto spesso non sia possibile fondere due logiche semplicemente adottando le regole di entrambe, in alcuni casi esistono traduzioni che proiettano una logica dentro un’altra. Ad esempio, è possibile tradurre la logica intuizionista all’interno dell’estensione modale S4 della logica classica (associando ad esempio la negazione intuizionista di un un enunciato alla necessità della sua negazione classica). È dimostrabile che un enunciato è valido intuizionisticamente se e solo se la sua traduzione è valida in S4.[14] Una conclusione che se ne potrebbe trarre è che logica classica e intuizionista non siano realmente in disaccordo, proprio come la logica modale non è in disaccordo con quella classica, ma la estende.[15]

    Le teorie che rifiutano la variazione del significato tra logiche diverse lo fanno solitamente sostenendo che solamente alcune proprietà siano costitutive del significato dei termini logici.16 Secondo Paoli, ad esempio, è possibile identificare i termini logici attraverso le regole che li governano, ma passare da una logica all’altra variando le regole strutturali che definiscono la relazione di conseguenza logica.[17] Una proposta simile, ma sviluppata all’interno di una semantica denotazionale, è stata avanzata da Beall e Restall, secondo i quali le clausole di verità che caratterizzano i connettivi sarebbero le stesse per una varietà di logiche, così come rimarrebbe identica la definizione di validità attraverso la preservazione della verità nei modelli, mente a variare sarebbe la classe dei modelli su cui si richiede tale conservazione: mondi possibili per la logica classica, situazioni incomplete e possibilmente contraddittorie per quella rilevante, e costruzioni per quella intuizionista.[18] Beall e Restall argomentano a favore di una posizione pluralista come conseguenza di questa teoria minimalista del significato, tuttavia vari autori criticano questa posizione.[19]

     

    Conclusione

    Il dibattito contemporaneo sul disaccordo in logica è ben lontano dall’offrire soluzioni definitive, e sia la natura stessa del disaccordo che la sua caratterizzazione epistemologica rimangono temi aperti. Sebbene un rifiuto netto della possibilità del disaccordo in logica sia oggi piuttosto raro, differenti posizioni riguardo al significato dei termini logici si riflettono sull’interpretazione di tali disaccordi e di conseguenza su come questi dovrebbero venire affrontati. Un cambiamento di logica richiede sempre di modificare il significato dei termini logici? In questo caso, in che modo due logiche che parlano di oggetti diversi possono essere in disaccordo? E come potrebbe essere deciso un tale disaccordo? Come abbiamo visto, le alternative principali sono: con gli stessi metodi con cui scegliamo una teoria scientifica, oppure interpretando il disaccordo come riguardante le teorie del significato che sostengono le varie logiche. Entrambe le posizioni devono affrontare alcune difficoltà. Infatti, se da una parte si rischia di trascurare la particolarità della logica rispetto alle altre scienze,[20] dall’altra si rischia che il cambiamento di significato serva a nascondere, piuttosto che a integrare, il cambiamento nella rappresentazione del mondo che le differenti logiche implicano.[21] Se invece si nega il cambiamento di significato, il problema epistemologico diventa secondario, dato che il disaccordo può essere inteso alla lettera, ma diventano necessarie teorie del significato che spieghino come una variazione delle principali leggi che caratterizzano un termine logico non portino a una variazione del suo significato. Sebbene ci siano state varie proposte in questa direzione, ciascuna di queste riesce al più a trattare il disaccordo tra poche logiche alternative. Inoltre, molti sono i dubbi e le obiezioni anche relativamente a queste applicazioni. In conclusione, vista la grande varietà dei modi in cui si può essere in disaccordo riguardo alla logica, e la difficoltà di sviluppare una teoria univoca riguardo a essa, una prospettiva che accetti la variazione del significato e il lato semantico delle verità logiche, integrandoli tuttavia con riflessioni provenienti dall’antieccezionalismo potrebbe sembrare promettente.[22] Tuttavia, la possibilità di tenere insieme queste posizioni è tutt’altro che banale, e molto lavoro deve ancora essere fatto.

     

    Bibliografia

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    Williamson, T. (2007), The Philosophy of Philosophy, Blackwell.

     

    Note 

    1 Vedi [Chalmers, 2011].

    2 [Carnap, 1937].

    3 Vedi [Restall, 2002] per una caratterizzazione del tipo di pluralismo adottato da Carnap.

    4 Soprattutto in [Quine, 1986].

    5 [Dummett, 1978] e [Haack, 1974], tra gli altri.

    6 [Priest, 2006] e [Hjortland, 2022], tra gli altri.

    7 La differenza è dovuta allo scetticismo di Quine riguardo all’uso filosofico del significato e dell’analiticità. [Hjortland, 2022] distingue la formulazione originale di Quine e la sua versione “semantica” a cui si fa comunemente riferimento.

    8 È il Principio di Tolleranza di [Carnap, 1937].

    9 Quine argomenta tuttavia che non sarebbe mai sensato rivedere la logica classica invece di altre credenze. La possibilità di cambiare logica sarebbe quindi puramente teorica.

    10 Vedi [Williamson, 2007], [Priest, 2016] e [Hjortland, 2017].

    14 [Gödel, 1986] pg 301.

    15 Vedi [Haack, 1974] per un’analisi.

    16 L’origine di questa proposta si fa risalire a [Putnam, 1976], che rimane tuttavia ambiguo al riguardo.

    17 L’argomento funziona al meglio quando viene applicato a sistemi di sequenti.

    18 [Beall e Restall, 2006]. Si veda [Hjortland, 2012] per delle obiezioni sia a Paoli che a Beall e Restall.

    19 [Priest, 2001] e [Read, 2006].

    20 Vedi [Martin e Hjortland, 2022] sulla difficoltà di argomentare l’antieccezionalismo in modo diretto.

    21 È l’argomento principale di [Putnam, 1976].

    22 [Shapiro, 2014] presenta una vastissima gamma di esempi di disaccordo in logica, e osserva come sia difficile presentare una trattazione univoca per tutti.